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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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venerdì 9 marzo 2018

LA SINISTRA SI E’ ESTINTA? di Norberto Fragiacomo






LA SINISTRA SI E’ ESTINTA?

Riflessione “tiepida” su una scomparsa (niente affatto misteriosa) denunciata dopo il 4 marzo

di
Norberto Fragiacomo



Il più patetico De profundis per la Sinistra antisistema è stato intonato domenica notte da quattro amichevoli compagni al bar (per la precisione: in un locale di S. Lorenzo a Roma): il giubilo non artefatto di Viola Carofalo e i bizzarri cori di vittoria degli attivisti di Potere al Popolo hanno meravigliato persino il cinico maratoneta Mentana.

Come interpretare questa sorta di “allegria di naufragi”? Qualche buon bicchiere di vino dei Castelli aiuta ma non basta, e la spiegazione non può essere individuata nel fatto che le prime proiezioni assegnavano a PaP un 1,6% meno deprimente del misero 1-1,1% effettivamente ottenuto: già in quel momento l’accesso al Parlamento appariva irrimediabilmente precluso. Le vere ragioni di tanto gaudio sono state parzialmente indicate dalla sorridente “capo-partito”: un pugno di ragazzi napoletani partiti da un semisconosciuto centro sociale è riuscito in meno di tre mesi a prendersi il Brancaccio, raccogliere una marea di firme, presentare la lista in tutte le regioni italiane e guadagnarsi qualche centinaio di migliaia di voti d’opinione. Avrebbe potuto aggiungere la giovane partenopea, fosse stata più maliziosa: siamo stati capaci di coinvolgere nel progetto partiti autentici (seppure in disfacimento) senza lasciarcene fagocitare, ed anzi relegandoli a portatori d’acqua. A rivederla così, la scenetta perde un po’ del suo tono parodistico, esprimendo piuttosto il legittimo orgoglio di chi – come i diecimila a Cunassa – ha tenuto bene il campo in mezzo alla disfatta generale. Legittimo orgoglio misto a sollievo: la reazione liberatoria rivela ciò che forse era meglio non emergesse – il timore, serpeggiante fino all’ultimo, di andare molto, ma molto peggio…

Resta però un dato indiscutibile: per la Sinistra c.d. radicale la sconfitta del 4 marzo è più pesante – lo dicono i numeri – di quelle sofferte nell’ultimo decennio da Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile[1] e via dicendo. Pesante e (forse) definitiva.

In un commento pubblicato a caldo su FB Roberto Preve ha lucidamente osservato che se anche Potere al Popolo non avesse commesso alcun errore nel corso della campagna elettorale (e invece ne ha fatti a iosa, sottolinea elencandoli) ben difficilmente avrebbe superato l’1,5%.

Personalmente concordo, con riferimento sia agli sfondoni che all'esito pronosticabile nel caso fossero stati accuratamente evitati. Periodo ipotetico dell’irrealtà, comunque: un movimento egemonizzato dai centri sociali non poteva che produrre un antifascismo da museo delle cere, la beatificazione del migrante, pari attenzione per i problemi seri e quelli fasulli (drammatizzazione della disparità di genere in primis) e addirittura il grottesco autogol su ergastolo e 41-bis[2]. Frutto di un compromesso al ribasso è stata invece l’assenza di una linea precisa su UE (e, di conseguenza, sullo strumento-moneta unica), sostituita da due rette parallele destinate, come insegna la geometria, a non toccarsi mai, e in ogni caso fatte apposta per confondere le idee all'elettorato. Nel complesso un messaggio disorganico, una sintassi politica pasticciata, che l’indifferenza politica dei media – di cui ovviamente PaP non ha colpa – ha impedito venisse in piena luce. Ma non è per questi motivi – credo – che la lista ha finito per attestarsi su un mesto 1%, e neppure per la discutibile scelta di presentare in tv (le pochissime volte che sono stati ammessi) il volto simpatico ma ignoto della Carofalo anziché, ad esempio, quello di Cremaschi o di qualche altro leader con un minimo di esperienza: il destino era comunque già scritto.

La riprova ci viene da due vicende elettorali diverse ma con qualche elemento di affinità. Rispetto alle alleanze che l’hanno preceduta dal 2008 in avanti quella nata a dicembre al Brancaccio scontava un handicap di partenza: il non essere riconosciuta dall'informazione come “sinistra estrema” – con tutto ciò che questo comporta in termini di visibilità: si sparli purché si parli! -, essendole stato scippato questo ruolo dal lacerto di PD ribattezzatosi Liberi e Uguali. Quel che penso di questa formazione è noto, non merita ribadirlo; qui mi interessa l’aspetto comunicativo: LeU aveva leader riconoscibili (fin troppo, nel caso di D’Alema), era di casa in televisione e veniva accreditata di un 5-6% di preferenze, che nelle speranze… di Speranza sarebbero addirittura raddoppiate alla prova del voto. La realtà dei conteggi è stata un trauma: soglia del 3% superata di un soffio, un’esigua pattuglia eletta in Parlamento con i resti dei resti[3].

Altro esempio, non meno calzante è quello offertoci dal Partito Comunista di Marco Rizzo. Non ha certo goduto di più spazio mediatico rispetto a Potere al Popolo, anzi, però l’ha usato incomparabilmente meglio: anzitutto ha parlato unicamente con la voce convincente del suo fondatore e segretario, che è stato capace – nell'ordine – di attirare simpatie e attenzione sul progetto, di comunicare con chiarezza un programma già coerente di suo; di far presente, infine, che l’orizzonte non era quello banalmente elettorale e l’approdo è ben altro che Montecitorio. Rammento un sondaggio di gennaio, che dava il PC al 2% mentre PaP annaspava: il risultato finale, tuttavia, è stato lo 0,30%, cioè poco più di niente (sempre in termini elettorali), anche a tener conto del fatto che la lista non ha raccolto firme sufficienti in parecchie regioni.

Cosa significa questo, forse che gli italiani sono ormai del tutto impermeabili alle “vecchie ideologie[4]” e hanno voltato loro con disprezzo le spalle? Non la metterei in questi termini. Partiamo da un dato: hanno votato tre italiani su quattro. Sarà anche la percentuale più bassa mai registratasi, ma nelle attuali circostanze è comunque altissima: i commentatori possono raccontarci le fandonie che preferiscono, ma nessuno contava su un 73% di votanti. Gli italiani sono andati alle urne per esprimere un voto preoccupato, attento e calcolato – così la vedo io. “Calcolato”/meditato non significa lungimirante, e “preoccupato” non equivale a terrorizzato: ho inteso dire che ci troviamo alle prese con una scelta fatta su elementi concreti, non in base ad entusiasmi o astrazioni. Reputo verosimile che il proletariato meridionale sia stato attratto dalla promessa grillina del reddito di cittadinanza, una sorta di ultima spiaggia per chi vede il lavoro come un miraggio; parimenti non mi sorprendo granché nel constatare che le maestranze del Nord Italia sono tornate a votare Lega – l’hanno già fatto ai tempi di Bossi – come reazione alla duplice minaccia rappresentata dalla costante crescita nei territori del numero di stranieri percepiti come non integrabili e dalle delocalizzazioni (queste sì davvero “selvagge!”) attuate sistematicamente sulla pelle operaia dalle multinazionali[5].

L’opzione Sinistra non è stata semplicemente presa in considerazione dall’elettorato, poiché le forze che professano il marxismo nella sue varie sfumature sono state giudicate incapaci di incidere, fuori dai giochi, irrilevanti. Messe da parte, più che esplicitamente rifiutate.

Ad essere sconfitto, assieme alla c.d. Sinistra, è stato il voto d’opinione – un lusso che oggi può concedersi soltanto chi ha un posto di lavoro relativamente sicuro, qualche soldino in tasca e tempo e idee da perdere sui social. Che Facebook fosse uno specchio deformante, d’altronde, potevamo indovinarlo anche prima: arduo ipotizzare, anche per i più ottimisti, che nell’Italia reale a disputarsi il successo fossero effettivamente LeU, PaP, PC, Per una Sinistra Rivoluzionaria (e, al limite, Casa Pound).

Il crepuscolo elettorale delle forze di sinistra non coincide però fatalmente con la scomparsa dei valori cui esse si ispirano[6]: molti degli elettori del M5S e persino della Lega sono dei “nostri”, e perciò recuperabili (almeno in teoria). Non nel breve termine, comunque: hanno espresso in maggioranza un sostegno convinto a quei movimenti, e potrebbero tornare “a casa” (in una casa ristrutturata a dovere) solo a certe condizioni, fra loro alternative. Provo ad elencarle: un clamoroso tradimento degli impegni presi da parte dei grillini, l’attuazione brutale da parte di Salvini di certi suoi progetti fintamente progressisti (la “piccola gente” si accorgerebbe ben presto che la Flat tax è una fregatura epocale), la resa di entrambi i vincitori ai diktat dell’Unione Europea, seguita dall’ingresso in una coalizione di “responsabili” al servizio del tecnico-macellaio di turno.

Queste evenienze potrebbero senz'altro verificarsi, ma l’evolversi del presente in qualsivoglia direzione non dipende da noi. All'irrilevanza elettorale, d’altra parte, non si può rimediare con un abracadabra rivoluzionario, per la banale ragione che, al momento, i nostri potenziali seguaci hanno dato credito ad altre forze e, conseguentemente, non si lancerebbero anzitempo in avventure scriteriate. Noi rivoluzionari da blog dobbiamo prendere atto che siamo l’avanguardia di masse che popolano le nostre fantasticherie e qualche post dettato dall'ebbrezza, non certo il mondo reale.

Un tanto non implica necessariamente l’inerzia: sarà nostro dovere sostenere chi, in un momento complesso e sfavorevole, si dà da fare per rafforzare le proprie posizioni e diffondere un messaggio al passo con i tempi.

Occorre tuttavia smetterla con i velleitarismi e attestarsi su una linea difensiva realistica, onde non disperdere le sempre più esigue forze a disposizione. Come capita nel gioco dell’oca, il tiro di dadi della Storia e le nostre inadeguatezze ci hanno riportato alla casella di partenza: proviamo a considerarla un’opportunità, anziché piangere sconsolati sulle attuali sciagure.

La prima versione del Socialismo italiano ad affermarsi fu la sua variante c.d. municipale: dopo averne conquistate silenziosamente parecchie, il giovane Partito Socialista portò un’aria nuova nelle amministrazioni comunali, iniziando un rapido processo di trasformazione dal basso. La principale di queste realizzazioni a beneficio della classe lavoratrice (che, lo dico tra parentesi, esiste e vota ancora) fu la creazione dal nulla dei servizi pubblici locali, solo in un secondo momento – e quasi per forza d’inerzia – regolamentati dal legislatore nazionale: un’innovazione rivoluzionaria che segnò di fatto l’ingresso della mano pubblica nell’economia e pose un freno all’ingordigia padronale.

Da circa tre decenni, sotto la spinta della UE e dei suoi sponsor, assistiamo all’inverso a una massiccia riprivatizzazione di ciò che dovrebbe essere patrimonio collettivo e, contemporaneamente, a un subdolo tentativo di intaccare l’autonomia politico-finanziaria degli enti locali, se non di cancellarne l’esistenza stessa – in nome di economicità, efficienza ecc., cioè dell’interesse del Capitale privato. Allora è proprio dai municipi che la battaglia social-comunista deve ripartire, attraverso una strenua opposizione alle logiche mercantili condotta con il coinvolgimento di popolazioni annichilite e allo stremo.

Inutile seguitare a ritagliarsi, fintantoché le condizioni generali non cambieranno, un ruolo da comparse in competizioni elettorali dagli esiti per noi scontati e deprimenti: ricominciamo dai Comuni, elaborando – oggi come allora – ragionevoli programmi controcorrente da sottoporre a chi, una volta persuasosi della loro utilità concreta, tornerà senza troppi sforzi a fidarsi di noi.



[1] Che a PaP potesse effettivamente andare molto, ma molto peggio ce lo attesta proprio l’amara sorte di Antonio Ingroia, ritornato sul “luogo del delitto” con una lista niente affatto disprezzabile, ma incapace di schiodarsi dallo 0,0% di partenza. Più che muoversi, il cavallino è stato subito rimosso dalla scacchiera…
[2] Perché in base ad uno schema tutt’altro che indiscutibile, ma da certa sinistra indiscusso, la commissione di reati è sempre da imputarsi allo sfruttamento e all’ingiustizia sociale, mai a quella che E.A. Poe definiva perversità. In certi ambienti va di moda vittimizzare il colpevole, se del caso colpevolizzando le vittime.
[3] Non fosse per quest’ultimo (succoso) particolare potremmo parlare di un remake della storia “La Sinistra e l’Arcobaleno” – l’epilogo sarà comunque assai simile.
[4] Non solo a quelle di ispirazione marxista, attenzione: i fascisti non dissimulati di Casa Pound sembravano in crescita inarrestabile, gli allarmi si moltiplicavano e venivano diffusi mentre il loro programma – di schietta destra sociale – seduceva persino qualche intellettuale formatosi a sinistra. Lo spettro del Parlamento ridotto a “bivacco di manipolo” si è dissolto già domenica sera: 0,9% e tutti a casa! Scrissi prima delle elezioni: “Fascisti e Comunisti giocavano a scopone / ma vinse il capitale, con l’asso di denari”. Non fa rima, ma ritengo renda l’idea…
[5] Che a questo ceto la Lega possa dare la risposta sperata è ovviamente illusorio: l’annuncio della Flat tax denuncia l’ideologia di destra economica che permea il movimento salviniano e l’immensa distanza che separa quest’ultimo da destre nazionaliste autrici di politiche di tutela delle classi lavoratrici, come il PiS polacco (non a caso fiero avversario della Flat tax proposta dai liberal-liberisti di Piattaforma civica). L’unica via per finanziare l’obbrobrio della “tassa piatta”, vale a dire per regalare milioni a chi è già ricco e pochi spiccioli ai percettori di redditi bassi, passa attraverso lo smantellamento di ciò che rimane dello Stato sociale.
[6] Mi riferisco ai valori di solidarietà, eguaglianza, giustizia sociale ecc., non alle fanfaluche buoniste alla moda e ai diritti civili di conio sorosiano (che continuano ad attrarre gli stolti).




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