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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 8 giugno 2017

Ottanta anni dopo: i fratelli Rosselli di Carlo Felici




Parlare oggi, a ottanta anni dalla loro morte, dei fratelli Rosselli significa tornare a nutrirsi della sorgente stessa del Socialismo moderno, liberale, democratico e federalista. E’ importante ricordarli, non solo per motivi storici e filosofici, ma soprattutto perché sul loro pensiero può fondarsi quel ‘socialismo dei cittadini’ di cui oggi si parla come necessità impellente, non solo per ritrovare un partito che sia degno di chiamarsi socialista, ma anche per ricreare il senso stesso di una politica autenticamente alternativa ed innovativa.
Ne tratteremo dunque sia con la prospettiva di attualizzare il loro pensiero, sia con l’intento di comprenderlo meglio nei suoi tratti essenziali, augurandoci inoltre che, ogni tanto, fare un excursus sui padri fondatori di una filosofia e di una cultura che sono tutt’altro che da consegnare ai secoli scorsi, come certi esponenti di partiti, frutto di impropri accorpamenti politici, vorrebbero far credere, sia importante per la stessa identità del cittadino del XXI secolo. Per riconsegnargli le chiavi di lettura del suo stesso presente, liberandolo dalla schiavitù di una contingenza senza frutti né radici, sterile per sua stessa costituzione.

Su questo omicidio non poche ancora oggi sono le polemiche, dato che alcuni vorrebbero attribuirlo esclusivamente ai servizi segreti fascisti, su mandato di Mussolini, come rilevò per primo Salvemini nella sua famosa introduzione a “Oggi in Spagna domani in Italia”, mentre altri vorrebbero assolvere l'operato di Ciano e dei suoi fedelissimi funzionari, vedendo nel movente dell'attentato la mano dei servizi segreti stalinisti, con la complicità di Togliatti e dei comunisti italiani. Anche di recente queste tesi contrapposte sono state oggetto di due interessanti libri: la seconda ripresa soprattutto da Bandini nel volume: “Il cono d'Ombra”, citato anche più volte da Pillitteri nel suo: “Il conformista indifferente e il delitto Rosselli”, e invece la tesi salveminiana è stata accolta in pieno da Franzinelli nel suo libro: Il delitto Rosselli, uscito di recente.
A noi pare che la verità, come spesso accade, stia nel mezzo e che a contribuire alla morte di due dei più grandi protagonisti dell'antifascismo italiano ed internazionale, negli anni 30, abbiano contribuito più fattori concomitanti e convergenti. E questo perché i Rosselli erano scomodi sia per il regime che avevano contribuito validamente a sbugiardare, pubblicando le foto dei soldati fascisti fatti prigionieri dalle Brigate Internazionali in cui militavano i combattenti italiani in Spagna, sia per Stalin, dato che Carlo Rosselli cercava di costruire un vasto fronte antifascista che includesse anche quei comunisti trozkisti che proprio il dittatore sovietico stava cercando spietatamente di eliminare, uno per uno. Sulla tesi salveminiana abbiamo un numero di prove notevoli e, sebbene Bandini cerchi di contestarle mettendo in dubbio l'attendibilità dei documenti pubblicati nel libro rarissimo: “Servizio Segreto” di Clara Conti, le possiamo tuttavia ritenere attendibili, e leggendo proprio tale preziosa fonte, possiamo confermare che le motivazioni che portarono alla pubblicazione di questi documenti, contenute nella prefazione del libro, sono una ulteriore conferma della loro fondatezza.
Sulla tesi di Bandini, non abbiamo invece la cosiddetta “pistola fumante”, un documento ufficiale cioè che avvalori la tesi della collaborazione segreta dell'OVRA e dei servizi segreti stalinisti per uccidere i Rosselli, ma numerose prove indiziarie, e anche qualcosa di più: il fatto, ad esempio, che la lettera con cui Trozskij rispondeva positivamente all'invito a raggiungere i suoi numerosi sostenitori in Spagna, e che non giunse mai a destinazione, fu ritrovata negli archivi dell'OVRA, il servizio segreto fascista, naturalmente a liberazione avvenuta.
Potremmo dunque ipotizzare che proprio degli interessi convergenti, anche se di opposta origine, portarono con molta probabilità i servizi segreti fascisti e quelli sovietici a cercare e trovare in loro un obiettivo prioritario comune da eliminare.
Ricordiamo infine che l'appello di Togliatti ai fratelli in camicia nera è di poco meno di un anno prima della morte dei Rosselli (agosto 1936). E il patto Molotov-Ribbentropp avvenne non molto tempo dopo.

Il più noto dei fratelli Rosselli, morti per mano dei sicari cagoulards, al soldo dei servizi segreti del regime fascista, il 9 giugno del 1937, fu Carlo ma sarebbe un grave torto dissociarlo dalla memoria del fratello Sabatino, meglio noto come Nello, non solo perché egli contribuì validamente alla stesura del libro edito a firma di Carlo, quel Socialismo liberale che è un vero e proprio testo di filosofia che andrebbe studiato nelle scuole anziché ricercato in librerie antiquarie, ma anche perché gli fu sempre accanto. E pagò anche con un’accusa ed una ingiusta cattura la fuga del fratello dall’esilio, sebbene essa fosse stata in gran parte organizzata dalla di lui moglie: Marion. Di queste due figure cruciali, nella storia del Socialismo italiano, si è ricordato soprattutto Bobbio, che curò la sua pregevole introduzione all’edizione di Socialismo Liberale uscita per Einaudi, svariati anni fa. Lo stesso Bobbio nota opportunamente che i Rosselli non debbono essere inquadrati nella lotta che allora si fece implacabile tra fascismo e comunismo, e che talora riappare tra i rottami non riciclabili del passato che ancora vanno alla deriva nel corso della nostra contingenza storica, ma sono altresì protagonisti di un’opposizione non meno dura ad una forma di capitalismo disumano, sprezzante di ogni regola e di ogni controllo, e soprattutto per questo restano stremamente attuali. La loro ricerca di una terza via non era dunque per loro la risultante di un’ opposizione al fascismo e al comunismo, ma ben di più al collettivismo e al capitalismo, in nome di un’economia partecipativa e federativa, basata sulla gestione diretta e responsabile delle risorse del territorio, e questo è forse ancora oggi l’aspetto meno studiato e apprezzato del loro pensiero,sebbene possa essere tuttora, nell’Italia odierna, uno dei più interessanti.

La prospettiva dei Rosselli va oltre il marxismo ma non prescinde da esso, e sfugge persino alla stessa definizione di riformismo, essa rappresenta piuttosto la continuazione di quelle istanze democratiche e partecipative che animarono la storia migliore del Risorgimento italiano. E’ la teorizzazione di un Risorgimento permanente, concretizzato dal motto di Giustizia e Libertà: Insorgere e risorgere.
Parlerò di Rosselli sempre al plurale, anche se userò il cognome al singolare, distinguendoli solo negli scritti e nelle citazioni, ma mai nell’impostazione del pensiero, perché spesso l’elaborazione di Carlo è frutto di discussioni con il fratello, e anche perché ciò sarebbe far un grave torto al senso stesso della loro vita e del loro sacrificio comune. Il 1908, anno in cui socialisti rivoluzionari sono sconfitti, in un congresso svoltosi a Firenze vincono i riformisti ma questo evento, per Rosselli, inaugura un periodo di vuoto di prospettive ideali che solo Mondolfo e Gobetti cercarono di colmare. Il primo con una difesa critica del marxismo, culminata nel testo “Il materialismo storico di Federico Engles” del 1912, e il secondo che, pur teorizzando la sua Rivoluzione Liberale, alla fine, si rivela più marxista che socialista. Sono gli unici che parlano di marxismo a cui Rosselli si rivolge con rispetto e stima.
Del marxismo Rosselli salva solo il materialismo storico e la lotta di classe, ma boccia inesorabilmente il suo determinismo antiumanista, poiché nota che nel sistema marxiano non vi è un luogo in cui gli uomini possano essere protagonisti della loro storia, essendo essa, in tale prospettiva, mossa soltanto dallo sviluppo tecnico e dai rapporti sociali in continuo contrasto tra di loro. Replicando a Mondolfo Rosselli spiega che l’esigenza che il partito socialista sia solo tale, non implica la necessità di sbarazzarsi di tutto il marxismo, ma della mera utilità di un “partito marxista”, tale da imporre a tutti i suoi aderenti una filosofia unica e determinata. E sottolinea “che oggi è assai preferibile un utopista premarxista, purché antifascista, a tutta una tribù di marxisti in fregola di collaborazione.”
Lo scrisse nel 1923, ben prima che Togliatti pubblicasse il suo famoso appello ai “fratelli in camicia nera” nel 1936, dopo avere definito Rosselli come un "fascista dissidente" o un "ideologo reazionario".

Rosselli è consapevole del gradualismo insito ad ogni liberalismo, che pur resta una forma di socialismo in azione, perché, nell’essenza di questo procedere per passi successivi, si estrinseca l’idea di progresso, di “educazione, tolleranza, vittoria su se stessi”. Il liberalismo dunque, per Rosselli, non è un sistema, ma piuttosto metodo del socialismo, quello che anima i gruppi e i partiti a più diretto contatto con le masse. Il principio di base di questo processo lo esprime in un articolo uscito sulla rivista di Gobetti, quando dichiara che “tutte le libertà sono solidali” e dunque sottintendendo che se una libertà non è solidale non è nemmeno libertà. Non potrebbe essere monito più grande a chi fonda un partito della democrazia o delle libertà come reductio ad unam: la propria. 
Tale liberalismo in azione e cioè socialismo attualizzato, presuppone “un complesso di regole di giuoco che tutte le parti in lotta si impegnano di rispettare, in quanto servono ad assicurare, in modo definitivo, la pacifica convivenza dei cittadini e delle classi”. Come non notare in ciò un preciso riferimento ad una prassi costituzionale di condivisione dei valori comuni, tanto più necessaria non solo allora, in un tempo in cui la dittatura la impediva sul nascere, ma ancora oggi, dato che tale modus operandi è messo a serio rischio da tendenze oligopolistiche e timocratiche, le quali sono espressione di un capitalismo insofferente ad ogni sorta di regola.

 Il socialismo rosselliano non è dunque solo incompatibile con quel liberalismo “di sistema” avversato dai marxisti, ma è, a maggior ragione, l’antidoto essenziale alla distruzione illiberale delle conquiste civili del proletariato, frutto di quelle libertà solidali che si oppongono anche alla collettivizzazione coercitiva dello Stato.
Il liberalismo è quindi un metodo che fa i conti con le avversità e le difficoltà del processo storico, trovando in fieri, quella via graduale di affermazione che ha come suo centro irrinunciabile la dignità e la unicità della persona umana. Non è per questo quindi incompatibile con la dottrina evangelica, ma sembra esserne piuttosto una feconda attuazione.
 Il socialismo è altresì un ideale che fa di questa prassi il riconoscimento di una necessità, e non un’utopia o una prospettiva escatologica, come quell’imperativo categorico kantiano che impone alla volontà di adeguarsi alla necessità, e di agire conseguentemente ad essa.
Purtroppo certa cultura socialista, radicale e liberale è stata solo usata in passato in funzione anticomunista, e cioè strumentalmente. Essa invece vale di per sé, per quello che è, ieri come oggi, autonomamente; il comunismo statolatra o partitolatra (tale infatti può essere ancora una prassi centralistica gestionale di un partito come casta di potere), non ha infatti bisogno di un confronto ad excludendum per essere condannato, si condanna già abbondantemente da solo, col suo essere pratica liberticida. Anche nella sua versione timocratica e padronale.

 Carlo Felici




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