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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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venerdì 16 giugno 2017

L'eticidio del turbocalitapismo come prostituzione di massa di Carlo Felici






Nell'era del turbocapitalismo globale (intendendo con ciò un capitalismo che non sopporta limiti né regole e che anzi si fa esso stesso misura di tutte le cose) l'etica tramonta inevitabilmente, se per etica intendiamo la sua accezione originaria di ethos umano, così come Eraclito mette bene in evidenza in un suo famoso frammento: Ethos anthropoi daimon, il carattere dell'uomo determina il suo destino, ciò che fu, a guardar bene, l'antenato del latino faber est suae quisque fortunae, e cioè ciascuno è artefice della sua sorte; nell'accezione greca vi è ancora un qualcosa di misterioso e divino che, in quella latina, mutatis mutandis, resta confinato prevalentemente nella natura umana.

Il capitalismo e la sua versione attuale e globale, fanno piazza pulita di quest'etica, così come di ogni morale che ne derivi, riducendo tutto a ricerca del profitto. L'essere umano e la natura sono così valutati e resi “utili” solo se “servono” a tale scopo, cioè all'accumulazione di capitale.

Tutto passa in secondo ordine, dignità umana, libertà, lavoro, famiglia, casa, pensioni, servizi sociali, insomma tutto ciò che “umanamente” possa valere di per sé, secondo il detto greco e secondo quello latino.

L'uomo non è più artefice della sua sorte ma, piuttosto, è una merce per la sorte del capitale, tanto che gli stessi politici parlano spregiudicatamente di “capitale umano” e di necessità di “investire” su se stessi, dato che, evidentemente, la riduzione a merce non può che partire dal presupposto che essa stessa sia isolata dal suo contesto e valga di per sé in quanto “spendibile” o “investibile” Ne consegue che la negazione dell'etica, in ambito turbocapitalista, equivale all'atomizzazione dell'individuo, al suo isolamento, affinché sia meglio sfruttabile.


L'essere umano non vale più di per se stesso, nella sua integrità, dignità e libertà, oltre che responsabilità, ma vale per come può rendersi utile a tale contesto in cui gli sono richieste, fin dalla scuola, funzioni e competenze, e competenza vuol dire essenzialmente non solo saper competere, ma soprattutto saper essere compatibile con la richiesta del mercato.

Con tale prospettiva ognuno, di conseguenza, non ha più un destino da costruire per sé, per la propria famiglia e per la società in cui crede di vivere, per una Patria a cui crede di appartenere o per una sovranità che si illude di esercitare, ma è, concretamente, solo un ingranaggio di un grande meccanismo verso il quale deve esercitare il suo ruolo, senza essere “rottamato”, senza cioè rendersi inefficace e desueto.

Cosa resta di autenticamente “umano” in tale “prospettiva”? Ahimé ben poco o nulla. E l'essere umano, destinato a svolgere il ruolo della merce per fini di profitto risulta anche “smembrato” nel suo tempo e nelle sue capacità.

Se non si adatta viene rimosso, se non concede nel mercato “pezzi del suo tempo” che il mercato compra, non è nulla, è relegato ai margini, peggio di un antico schiavo che, almeno, era mantenuto come un animale domestico dai suoi padroni; un oggetto, infatti, ha una sorte ben peggiore. Viene gettato via quando è ritenuto inutile, nella discarica dell'emigrazione e dell'emarginazione sociale.

L'ultimo emblema simbolo di questa disumanizzazione e mercificazione è il voucher. Nella nostra mania esterofila e tecnocratica, che parte dal presupposto anche linguistico di annullare persino le radici linguistiche del nostro pensiero umanistico, abbiamo adottato questa ennesima terminologia anglosassone, che corrisponde a cosa? Vediamo in inglese la definizione di voucher: “a piece of paper that can be used to pay for particular goods or services or that allows you to pay less than the usual price for them” che, tradotto, suona così: un pezzo di carta che ti autorizza a pagare per particolari beni o servizi meno del prezzo corrente destinato ad essi. In pratica una “marchetta”, cioè una sorta di strumento privilegiato di sfruttamento per accrescere il plusvalore.
L'eticidio del turbocalitapismo corrisponde alla prostituzione di massa su scala globale.

In Italia sono state raccolte molte firme per convocare un referendum che abolisse i voucher, e il governo cosa ha fatto? Ha prima abolito i voucher per impedire che il referendum avesse luogo e magari avesse successo come quello costituzionale, poi, truffaldinamente, ha “resuscitato” i voucher, legandoli indissolubilmente ad un pacchetto di misure necessarie all'ammodernamento ed al risanamento del Paese. Su questo pacchetto si appresta a chiedere la fiducia e a tendere un trappolone micidiale alla cosiddetta sinistra scissionista del PD che si è costituita con l'altisonante nome di..udite..udite Articolo 1 (con ovvio riferimento alla Costituzione) Ricordiamocelo sempre l'articolo 1 soprattutto per diffidare di imitazioni e contraffazioni: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Questo vuol dire due cose in una: che la democrazia si ha solo con quella dignità che deriva da un popolo che ha un lavoro con cui contribuisce al benessere della comunità in cui vive, e che trae proprio da esso la sua dignità e sovranità.

Senza lavoro o con un lavoro ridotto a “marchetta", evidentemente, non esiste né democrazia, né sovranità e tanto meno una libera Repubblica, intesa come “cosa", come "bene comune”

La sinistra che si chiama Articolo 1 è stata sfidata in campo aperto, o vota la fiducia che include la reintroduzione di questo strumento di mercificazione dei lavoratori, o si astiene, lasciandolo lo stesso passare, contraddicendo profondamente la sua stessa ragione fondante e sociale, oppure vota contro e rischia di far cadere il governo.

Ma siamo davvero sicuri che il governo cadrebbe se la sinistra si decidesse una buona volta a fare una opposizione seria anche sfidando le prefiche del populismo e del radicalismo ad oltranza? Sicuramente no, perché il governo saprebbe trarre i numeri che gli consentirebbero di sopravvivere anche nel suo prossimo “coma assistito”, dove li ha sempre pescati ultimamente: nell'ambito di quella cosiddetta destra collaterialista, che poi altro non è che la versione senza vasellina dello stesso ferreo orientamento economico e politico vigente. Esso è tale che non corrisponde più alla sovranità popolare, ma semplicemente a referenti di partiti (e dei loro capi) nominati apposta, i quali votano secondo precisi interessi e precisa disciplina ciò che viene loro detto di votare, e che i loro capi, a loro volta, hanno deciso, obbedendo ad altri referenti transnazionali, fiduciari di precisi interessi economici e speculativi e strutturali ad uno stesso sistema a cui non si vuole che debba trovarsi alcuna alternativa. La UE, per come si sta comportando ultimamente, corrisponde con estrema precisione a questo sistema, anche se, in essa non tutto tace ed acconsente a tale imperio che combatte non più con le sue legioni, ma con le sue banche. Uno degli assunti fondamentali di questo sistema è che la democrazia si riduca e che la gente non possa scegliersi i suoi referenti, potendo così cambiare le leadership dei partiti.

Ciò nonostante, in alcuni paesi, la gente è riuscita lo stesso a cambiare determinati referenti, altrimenti fenomeni come quello di Sanders o di Corbyn, non si spiegherebbero, non in maniera però ancora adeguata e sufficiente per cambiare seriamente un sistema. Per questo ci vuole perseveranza, tempo e una buona dose di coraggio e di autonomia.

Tutte qualità del tutto mancanti ad una sinistra italiana di professionisti della politica, o a schieramenti in cui militano gli esperti della demagogia. Questi, infatti, sono abili soprattutto a “fare il loro prezzo” a decidere la loro “marchetta” per imporne al popolo altre molto più economiche e profittevoli.

Possono rischiare di opporsi senza la speranza di partecipare al gran banchetto del potere, in ambito locale o nazionale? Evidentemente no.

Il risultato di tutta questa millantatura non può che essere una disaffezione sempre più grande verso la politica e una diserzione delle urne sempre più massiccia e rovinosa come quella che abbiamo sotto gli occhi. Ma si può pretendere che la gente voti ciò che non la rappresenta e chi non solo non può ma persino non vuole restaurare il primato della politica sull'economia?

Sicuramente no. Per tornare ad essere credibili, oggi, nell'era dell'eticidio (assassinio dell'etica) da parte di un turbocapitalismo che non arretra di fronte a nulla e spregiudicatamente usa guerre, migranti, terrorismo, diseguaglianze e persino la speculazione sui medicinali e sugli organi umani, per incrementare i suoi profitti, ci vuole un sussulto globale, internazionale, bisogna essere, lo abbiamo già ribadito, patrioti non tanto di una terra o di una moneta, ma piuttosto del lavoro, dell'educazione e dei diritti sociali. Non si può essere imbastarditi dal primato dei diritti civili su quelli sociali (e morali) perché, come disse un grande socialista come Pertini: “Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà.
Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, privandomi della libertà io la rifiuterei.”

Questi sono paletti insormontabili per chi solo possa riferirsi con significato e concretezza ai valori socialisti, se si usano i diritti civili e le libertà, per annullare i diritti sociali, o se accade il contrario, si determina solo la fine di ogni forma di socialismo e la complicità con chi, da tale fine, ha sempre voluto trarre vantaggio e profitto.

Un tempo Mazzini era definito un pericoloso terrorista e Mazzini non era nemmeno socialista, oggi non vorremmo che, in questo cupio dissolvi di ogni valore etico, sociale, morale e politico, la stessa sorte toccasse anche a chi è stato più volte definito “il Presidente più amato dagli italiani”, relegandolo nella categoria del populismo e del radicalismo che tanto comodo fa a chi non ha né radici né popolo a cui riferirsi, ma insegue solo e soltanto il suo mero interesse.

Carlo Felici

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