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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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domenica 12 febbraio 2017

ONESTÀ: CROCE E DELIZIA DI ROBESPIERRE di Lorenzo Mortara






ONESTÀ: CROCE E DELIZIA DI ROBESPIERRE 
di Lorenzo Mortara





Circola in rete, tratto dall’Etica e Politica, un passo di Benedetto Croce molto irriverente verso la pretesa onestà dei politici. Da quando i grillini ne hanno fatto la loro bandiera, il sudiciume d’Italia, mal sopporta che qualcuno invochi l’onestà. Ma come? Io Direttore di banca, Capitalista d’assalto, Politico consumato, Editorialista di grido del libero commercio, in breve mariuolo di professione dovrei anche essere onesto? E a che serve la scalata sociale se poi non ho il diritto di delinquere e rubare come i superiori che ho tanto inseguito? Così pensa il Briatore di turno, ma il Briatore di turno è un po’ volgare, non ha fatto le scuole alte, esprime in maniera troppo diretta il suo pensiero, ha quindi bisogno che, al di sopra dei suoi bassi istinti, un chierico ricami una teoria così tanto profumata e melliflua da trasformali in filosofia, complicando con la sua retorica una cosa che, senza machiavellismo, sarebbe tanto semplice come il buon senso. Ed è al supermercato degli intellettuali fascisti quando bisognava essere antifascisti e degli intellettuali antifascisti quando non serviva più a niente, che i Briatore trovano il chierico che fa al caso loro, il nostro Croce, Don Benedetto appunto.

È sempre molto pericoloso dare dell’imbecille agli altri, perché o sei sicuro di essere un genio o difficilmente sei così avanti come credi. Se poi sei un liberale, ci andrei ancora più cauto, perché un liberale può essere stupido, come in effetti è nel 90% dei casi, mediocre e ritardato nei restanti, e intelligente in casi del tutto eccezionali. Geniale mai, mai potrà esserlo uno che definisce «liberale» la sua idea di libertà, uno così è già tanto se non è un cretino tautologico. Croce, come un liberale qualunque, ignorava simili considerazioni, e convinto com’era di essere un padreterno del pensiero, nonostante fosse solo una delle tante colf di Hegel, si sentiva realizzato mentre dall’alto dei suoi arzigogoli cerebrali, dava dell’imbecille al popolo suddito perché non era intelligente come lui da capire che l’onestà non paga, perché tra tutte le qualità di un uomo, è l’unica che, stando alla sua etica girata al contrario, non vale una cicca. Tenuto conto della sua dabbenaggine politica, della sua filosofia riciclata, della sua storia ideal-metafisica, oggi abbiamo più di un dubbio che l’unico, povero, imbecille in circolazione fosse proprio lui, ma visto che ancora non se sono accorti i suoi apologeti moderni, che ancora ce lo ripropongono come quintessenza del pensiero, figuriamoci se poteva accorgersene lui che novant’anni fa ne era già una misera ripetizione.

Come un giornalista sportivo dà dell’imbecille all’ultras sconosciuto che invade il campo o accoltella qualcuno fuori dallo stadio, anche Croce dava dell’imbecille a tutti gli ingenui che predicano onestà. Ma come l’ossequioso  giornalista sportivo non ha mai dato dell’imbecille al presidente con fabbrica di schiavi in Bangladesh, così non troverete mai nell’opera di Croce insulti tanto drastici verso chiunque abbia avuto una qualunque carica di potere costituito. Di fronte al potere, purché borghese e non rosso neanche di striscio, anche Croce è tutto inchini, riverenze, voti di fiducia e giustificazioni variopinte. Solo se il potere è rosso o ne ha qualche parvenza, Croce ricomincia con gli insulti. In breve, per Croce, non si è imbecilli perché si chiede l’onestà, ma perché si appartiene al campo dei poveracci anziché a quello dei potenti. Lui che imbecille non era, proprio perché apparteneva alla corte miracolata dei potenti, li illuminava col frutto vivente e maturo di tanto girovagare assorto nei loro cortili: «nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie». Nessuno chiede a un chirurgo di essere altro da un chirurgo, perché mai dunque a un politico si deve chiedere di essere onesto anziché un semplice politico? Mistero! Per Croce almeno, per noi il mistero resta Benedetto Croce, come sia possibile che un filisteo del genere sia passato e passi ancora per pensatore.

Il campo di lavoro di un chirurgo è il corpo umano. Lì inizia e finisce il suo lavoro di chirurgo. Non solo, per quanto possano esserci tante teorie terapeutiche, un occhio resta un occhio e il corpo umano è uguale per tutti. È difficile avere un piede rotto e trovare, tra dieci chirurghi, quello scemo che lo consideri a posto. Ne segue che possono esserci tanti chirurghi ma un solo unico fine, una sola sostanziale buona chirurgia. Un buon chirurgo è quello che ti opera senza mandarti al creatore. Non è un buon chirurgo chi ti opera il polmone destro se hai un problema a quello sinistro. Se ti opera e bene quello sinistro, puoi indubbiamente fregartene di quanto evada le tasse, perché non era quello che ti interessava, quello riguarda un’altra sfera del suo essere uomo.
Completamente diverso, agli antipodi, è il discorso per la politica. In politica già esistono i partiti, cioè una frattura tra similari che non ha eguali nel campo della medicina, per quanto esistano diverse teorie mediche e diverse specializzazioni. Quando si parla di politici, si parla di comunisti o di democristiani, ma quando si parla di questo o quel chirurgo difficilmente si aggiungono aggettivi che non siano bravo o rinomato, perché qualunque chirurgo è sempre un chirurgo. Le specializzazioni della chirurgia non dividono i chirurghi in guelfi e ghibellini, perché la materia è sostanzialmente la stessa. Non così per la politica, nella quale gli indirizzi sono molti perché il corpo sociale non è un tutt’uno come il corpo umano. Vi sono, per citare i più noti, il partito della Monarchia, quello della Repubblica, quello della Chiesa, quello dell’Uomo, quello della Donna, quello del Capitale, quello del Lavoro, quello della Riforma, quello della Rivoluzione e tanti altri ancora fino ad arrivare all’ultimo nato, il più ipocrita e moderno di tutti, quello vigliacco della Controriforma che non ha neanche il coraggio di presentarsi come tale.

Per la maggior parte di questi partiti, il fine della politica non è condiviso. Senza scomodare i contrapposti interessi di classe – li scomoderemo più avanti – anche il 99% dei partiti che riconoscano il vacuo interesse generale del Paese, cioè l’ideologia borghese, non possono essere accomunati da un unico fine, perché diverso, per quanto sovente solo a parole, è il programma che adottano per arrivarci. Per chiunque non abbia i paraocchi, ne segue che può esistere una buona politica per i liberali e una buona politica per i socialisti, una buona politica per i monarchici e una buona politica per i repubblicani. Non solo, una buona politica liberale, può tranquillamente essere pessima per i socialisti e viceversa. Addirittura per i marxisti, i più sofisticati tra i politici, non possono esistere né una buona politica liberale né una buona politica socialista perché fanno totalmente schifo tutte e due. La capacità politica non può essere misurata indipendentemente dalla finalità che il politico si è dato. Certo, la storiografia borghese lo fa, ed è per questo che è una pessima storiografia con valore scientifico pressoché nullo, nondimeno nei lavori più completi e organici, pur non avendone pienamente coscienza, anche la storiografia borghese lo conferma in maniera più o meno indiretta. Al contrario, intriso com’è dell’idealismo più vetero, Croce finisce per non averne nemmeno il dubbio. Perciò, equiparando l’arte politica a quella chirurgica, non fa che pretendere che esista una sola buona politica, quella che piace a lui, squalificando tutte le altre. In breve, dopo aver equiparato chirurgia e politica, possiamo tranquillamente metterlo nel campo dei chirurghi che a furia di operar male il pensiero, hanno ucciso per sempre la filosofia.

Il paragone tra un chirurgo e un politico, forzato e sostanzialmente fuori luogo, mette sullo stesso piano cose completamente diverse. La politica non è affatto un vero e proprio mestiere come il chirurgo. Ha più a che fare col sangue delle passioni. Un politico può usare la fantasia e proporre una diversa visione del mondo. Per quanto anche un chirurgo possa studiare nuove tecniche chirurgiche, i margini del suo lavoro sono più stretti. Come un ingegnere non può fare i ponti come vuole, anche un chirurgo non può operare come gli pare. Non può usare, ad esempio, due gruppi sanguigni per una stessa operazione. In politica commistioni del genere sono frequenti e non possono essere considerate un errore a prescindere. Anni fa, per un Berlusconi che voleva «aggiustare l’Italia», c’era una Lega che voleva dividerla in due. Eppure Forza Italia e Lega sono andate per lo più d’accordo, senza che ciò costituisse chissà quale contraddizione. Perché la politica non è un’operazione chirurgica, è un’arte forse meno scientifica ma certamente più complessa e variegata.

La politica può essere definita come il mestiere dei mestieri, e non c’è campo particolare che non rientri in qualche modo in quello della politica. Posso fregamene del fatto che il chirurgo che mi opera abbia un conto all’estero e una reggia ad Hammamet, perché mi interessa guarire i miei guai fisici, non i suoi fiscali. Al contrario di un chirurgo, non si può separare la sfera politica del deputato da quella privata, perché un politico non finisce con la sua opera istituzionale, ma con la sua vita privata, conto in banca compreso. Infatti, il grido di onestà del popolo, è sostanzialmente l’urlo di rabbia di chi non ha in fondo altro modo per esprimere la sua contrarietà al continuo sperpero di denaro pubblico per stipendi d’oro, per opere faraoniche appaltate ad amici degli amici e per ripianare i debiti di banche e imprenditori falliti. Ma Croce che è furbo, fa finta di non capire, per cui dirige l’onestà degli imbecilli contro l’immoralità dei politici viziosi, cattivi mariti e pessimi padri, ne fa un problema di onestà piccola piccola, privata, come se la rabbia popolare non fosse contro la disonestà pubblica, come se il popolo fosse inferocito per le olgettine di Berlusconi e le tante nipotine di Mubarak sue protette, anziché per il dissanguamento delle casse dello Stato e delle pensioni per riempire quelle della Fininvest, del Monte dei Paschi e della Fiat. L’immagine del popolo incazzato nero con Clinton più per i manicaretti della Lewinsky che per la privatizzazione di tutto il privatizzabile, serve ai media e ai suoi intellettuali per descrivere il popolo anche più coglione di quanto in fondo vorrebbe che fosse. Ma il popolo non chiede l’onestà come rimedio dei peccati veniali dei politici. Al popolo interessa poco o nulla dei peccati veniali dei politici, se chiede onestà è perché, nel suo linguaggio, è l’unico modo per chiedere che la politica sia fatta per lui, non contro come avviene regolarmente.

Già Marx sottolineava nelle lotte francesi del 1848, che dietro la richiesta popolare del diritto al lavoro stava la forma primigenia, istintiva di chiedere l’abolizione del Capitale, della proprietà privata dei mezzi di produzione e dei loro rapporti reciproci. Alla stessa maniera, nelle lotte italiane di oggi, che esistono come nella Francia di allora, l’onestà, che non è solo il grido di battaglia dei grillini, lo è anche della maggior parte degli operai, è la forma più semplice che ha il popolo lavoratore per chiedere una politica di classe, della sua classe. Non a caso Lenin, nelle sue ultime pagine di diario chiedeva, per riorganizzare l’ispezione operaia, non dei fenomeni di capacità, ma gli uomini più irreprensibili e onesti che sapessero dare l’esempio agli altri. Ovviamente Lenin non era a favore dell’onestà per l’onestà, ma dell’onestà in favore degli operai, perché in un mondo diviso in classi, non esiste niente di astratto al di sopra delle parti, né l’onestà né tanto meno il genio politico.

Anche spostandoci nel tempo e nello spazio, la prima grande rivoluzione moderna, quella francese, non è stata forse guidata da Robespierre l’incorruttibile? Robespierre non era del tutto cosciente come Lenin delle lotte di classe che si svolgevano sotto il suo Terrore. Pensava che la sua guerra fosse davvero quella dell’onestà contro la corruzione, ma tanto basta per capire come onestà e incorruttibilità non siano burlette da idioti, ma istanze profondamente rivoluzionarie che non possono essere snobbate da chi la rivoluzione vuol farla. Robespierre, ovviamente, non capì che lo scopo della sua rivoluzione erano il libero commercio e la proprietà privata borghese, e che l’onestà e l’incorruttibilità servivano per difenderli nei momenti più critici. Quando la loro sopravvivenza era ormai assicurata e l’onesta e l’incorruttibilità non servivano più, al posto dei corrotti e dei disonesti, nel cesto della ghigliottina ruzzolò la testa di Robespierre. Da allora la borghesia sa che prima dell’onestà vengono gli affari. 

Ecco Perché Croce evita con cura di parlare di denaro, separando la sfera economica dal resto degli aspetti etici, svilendo l’onestà al livello dei moralisti bacchettoni. Perché già ai suoi tempi la corruzione era inseparabile dalla politica. Non si creda, infatti, che ai tempi di Croce, i politici non rubassero. In realtà, in proporzione, rubavano più o meno come oggi. In altre parole, già ai suoi tempi i politici non potevano essere che farabutti e imbroglioni. Ma, nonostante rubassero e trafficassero ai danni dell’erario, per Croce e i suoi adepti, erano per lo più dei grandi statisti. Perché se non si accettava il latrocinio come cosa inscindibile dalla politica, non c’era verso di attribuire patenti di grandezza a chicchessia si fosse dato alla politica. Con ciò Croce riconosceva che per politica non intendeva altro che la politica borghese. Certo, poi alla buon’ora riconosceva che oltre certi limiti, la corruzione privata di un uomo influisce sulla sua vita politica, ma era solo lo zuccherino della sua vanagloria per addolcire il succo amaro del suo volgarissimo discorso: il politico buono è quello disonesto.

Il problema dei grillini, è che sono molto più simili a Croce di quanto si creda. Per loro come per Croce, a differenza di Lenin, onestà e genio politico esistono di per sé, sono interclassisti. Così mentre uno vede degli incapaci dove gli altri vedono degli onesti, entrambi sono ciechi di fronte al reale problema che è sempre un problema di classe. Il guaio dei grillini è che la loro onestà non è né di destra né di sinistra, prova cioè a stare in mezzo, quando la storia ha già dimostrato ampiamente che in mezzo non si può stare, tanto meno nei periodi decisivi e di crisi come quelli in cui viviamo. O si sta a sinistra o si sta a destra, o col Lavoro o col Capitale, o coi lavoratori o coi padroni. Non ci sono vie di mezzo, perché stare in mezzo vuol dire, al momento del dunque, stare a destra, come dimostrano in maniera lampante, le prime disastrose prove di governo dei grillini a Parma, a Livorno e ora a Roma, dove nessuna banca è stata toccata, dove i padroni sguazzano come sempre e i lavoratori devono pagare per tutti come prima.

L’onestà dei grillini al momento non ne vuole sapere di essere proletaria, è un’onestà del tutto borghese. Il dramma della Raggi e dei grillini è in fondo tutto qua, in questa contraddizione incompresa, nel non aver coscienza del reale conflitto di classe che esiste indipendentemente dai loro proclami, ed esige il conto. Incoscienti di tutto questo, presuntuosi come il più ipocrita e democristiano dei cinque stelle, Luigino Di Maio, loro vogliono conciliare l’onestà non con la politica, ma con la politica borghese. Ed è per questo che non ci riescono, non perché siano incapaci, ma perché è impossibile, nessuno ci può riuscire. Non ci possono riuscire loro, oggi, come non ci sono mai riusciti centro-destra e centro-sinistra ieri. Loro appaiono più goffi e maldestri solo perché urlano come ossessi di volerci riuscire. E i loro puntuali, matematici fallimenti non possono che far apparire ancora più ridicoli i loro tragicomici tentativi.

Perché allora tanto accanimento coi grillini da parte dei neocrociani di oggi? In fondo, ricapitolando, non abbiamo appena detto che i grillini governano col programma del PD, cioè dei padroni? E l’esperienza della Raggi non dimostra l’esatto opposto di quel che vogliono dimostrare i neocrociani? Onestà è capacità, filosofeggiano, come se Raggi fosse onesta ma incapace. Eppure, è proprio sull’onestà di Virginia che c’è più di un ragionevole dubbio, mentre sulla sua capacità non ci sarebbe una parola da dire, se solo si esaminasse la cosa con un minimo di raziocinio scientifico. Infatti, Raggi, fin dall’inizio, ha imbarcato più di mezza ciurma di Alemanno. Ha triplicato gli stipendi, non ha ancora coperto una sola buca di Roma e, dopo una prima bocciatura, ha approvato in men che non si dica lo stesso identico bilancio, virgola più virgola meno, di lacrime e sangue di tagli al popolo romano per pagare i debiti di banche e palazzinari capitolini. In breve, a quasi un anno dall’insediamento, a Roma non è cambiato niente. Cosa vuole di più da Virginia, l’irrazionale stampa borghese? Vuole forse che cambi davvero? Non sia mai. Stampa e padroni temono solo che stando in mezzo come stanno, i grillini finiscano per imbarcare più di un germe di sinistra. Già hanno votato contro al Referendum, prima ancora si sono opposti anche allo smantellamento dell’art.18 infine, ai primi segnali di burrasca a Roma, hanno buttato a mare un’Olimpiade di profitti e un po’ dei pirati che avevano imbarcato. Il rischio è che sotto la pressione del popolo, una volta al governo, si spingano decisamente a sinistra. Ecco perché la stampa padronale non perde occasione per sputargli addosso. Perché è molto difficile che i penta stellati si spingano a sinistra, ma non si sa mai cosa può succedere sotto la pressione del popolo, specie se lo si stuzzica come fanno i cinque stelle. Nel dubbio, la borghesia che è sempre previdente, tenta il tutto per tutto per farli fuori prima.

Cosa manca ai penta stellati per essere onesti proletari? Oltre ai proletari che per ora li votano ma non li seguono più di tanto, anche perché loro non provano a mobilitarli, ai cinque stelle manca innanzitutto il marxismo, cioè una teoria onestamente dalla parte del proletari, l’unica in grado di offrire una pratica conseguente. Senza teoria marxista, la pratica borghese è assicurata. Assimilato il marxismo, il resto verrà da sé. Compreso Marx, si capirà anche perché senza non è possibile una politica onesta a cinque stelle. Infatti chi si dimezza lo stipendio, è solo un mezzo ladro. Se poi i soldi risparmiati ai proletari, e solo a loro perché non esistono altri cittadini che producano valore, vengono sprecati e riregalati alle piccole e medie imprese, il mezzo ladro torna ladro completo esattamente come prima. Un politico onesto non dà una lira a piccoli e medi profittatori. Dà tutto ai disoccupati e agli operai sfruttati, anche i 4000 euro di troppo che si tiene ancora come stipendio. Chi prende 5 volte un operaio, è solo 5 volte più disonesto rispetto a chi lo è 10 volte. Non è da ammirare, al massimo si può disprezzare un po’ meno.
Senza il portafogli a posto, non andrà mai a posto la testa. Ecco perché i cinque stelle a 5000 euro al mese, sono condannati a restare delle teste di cazzo. 5000 euro al mese sono la garanzia più sicura che finché resteranno in parlamento non si schioderanno più di tanto dal Wi-Fi gratuito, dal redditto di sudditanza alla disoccupazione, dal fotovoltaico e dall’uscita dall’euro, cioè dai dazi e dal razzismo più o meno strisciante.
Un onestà da 5000 euro al mese è comunque troppo per un programma così minimo come quello dei cinque stelle. Tanto più che difficilmente verrà portato a termine. Infatti per portarlo a termine, anche nella migliore ipotesi, servirebbe una mobilitazione. Ma il guaio del movimento più antisistema a parole d’Italia, è che dopo averle disprezzate così tanto, si vanta di aver ricondotto la rabbia popolare proprio dentro quelle istituzioni che vorrebbe scardinare. Ed è difficile che possano esserlo solo con le denunce sistematiche e un’unica loro azione di taglio dello stipendio. Più delle loro azioni servono quelle del popolo. Le uniche che possano dar forza alle loro proposte. Ma al popolo i grillini chiedono un’unica azione: votarli. È così che una volta votati, i grillini svuotano le piazze e si rinchiudono nel parlamento e nei comuni, dove vengono regolarmente sbranati dai lupi o per mancanza di forza, o perché si mangiano da soli perché incapaci di comprendere le leggi del conflitto di classe.
In breve i grillini impossibilitati ad essere onesti, non saranno neanche capaci fino a quando non saranno degli onesti materialisti dialettici. Fino ad allora, di nuovo non ci sarà nulla, tanto meno le loro capitolazioni complete, identiche in tutto e per tutto a quelle dei riformisti d’ogni tempo, dai Kautsky del 4 Agosto 1914, agli Tsipras del 30 Giugno 2015. Disonesti nei fatti, come dimostra perfettamente ogni giorno la Raggi, saranno capacissimi di fare tutto quello che i politici borghesi che li hanno proceduti sono stati capaci di fare. Non serve infatti chissà quale capacità per questo, qualunque imbecille ci può riuscire. E se ci riesce uno come De Luca, anche una schiappa a cinque a stelle può farcela. Anche qua, maestra insuperabile a cinque Stelle, Raggi insegna. Nogarin non arriva neanche a quattro. E Pizzarrotti deve essere stato buttato fuori perché probabilmente non arrivava neppure a due.

È molto difficile, per non dire impossibile che i penta stellati diventino marxisti. Siccome però, è ancora più improbabile che si facciano crociani, perché non hanno lo stesso pelo sullo stomaco e la stessa sfacciataggine filosofica, è probabile che restino quei Robespierre dell’ultima ora che sono. E poiché con Robespierre è già stata tagliata una volta per tutte la testa incorruttibile dell’Onestà, la borghesia, quando e se i penta stellati andranno al potere, non avrà più nemmeno bisogno della ghigliottina, perché l’onestà non tornerà più di moda finché i tempi saranno irrimediabilmente borghesi. Due mesi di governo stellato e di popolo sempre al patibolo, basteranno alla borghesia per dargli il più classico dei ben servito, meno cruento della ghigliottina, ma altrettanto ben assestato e infinitamente più beffardo: un calcio nel culo. Crollerà la volta penta stellata e farà un rumore sordo e sinistro. Speriamo solo che, quel giorno, gli «arrabbiati» che sempre accompagnano i Robespierre della Storia, stavolta non cadano con lui, ma siano preparati per arrabbiarsi davvero.

Stazione dei Celti
Novembre 2016/Febbraio 2017






NOTA
Il passo citato di Croce da Etica e Politica:

«Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della onestà nella vita politica.

L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio Paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.

Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine.

È strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura.

« Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica? » si domanderà. - L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.

« È questo soltanto? E non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile?

E la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli? ». Obiezione volgare, di quel tale volgo, descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo tenderanno in proprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre [...]

[...] « Ma no, » (si continuerà obiettando), « noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente ossia integralmente onesto ». - Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita».



Tratto da: B. Croce, Etica e Politica, a cura di G. Galasso, (1994), Adelphi, Milano. 



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