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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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domenica 19 febbraio 2017

ALCUNE IMPRESSIONI SUL CONGRESSO FONDATIVO DI SINISTRA ITALIANA di Riccardo Achilli







 ALCUNE IMPRESSIONI SUL CONGRESSO FONDATIVO DI SINISTRA ITALIANA
 di Riccardo Achilli




Si conclude oggi l’appuntamento congressuale di Sinistra Italiana, così lungamente atteso da un popolo di sinistra rimasto senza casa da troppi anni. Non potendo essere presente fisicamente, ho ascoltato con molta attenzione quasi tutti gli interventi.
Rispetto alle preoccupanti premesse di partenza, allo spirito di Cosmopolitica che replicava acriticamente i difetti originari di SEL, sarebbe ingeneroso dire che non sono stati fatti progressi, in questi mesi, in termini di consapevolezza strategica. Esce il profilo di un partito che sa di dover essere solido e radicato sul territorio, in barba alle suggestioni movimentiste grillin-rodotiane. Emerge, perlomeno nella maggioranza del partito, l’esigenza di autonomia di movimento non solo rispetto a Renzi, ma più in generale rispetto al Pd, se non assumerà, eventualmente nelle sue forme scissionistiche, un profilo più nettamente di sinistra e di rottura con il Governo Gentiloni. Il tentativo, per molti versi penoso, della componente scottian-dattorriana di incasellare il partito nascente dentro un obsoleto e inefficace schema neo-ulivista viene sconfitto, anche se, va rimarcato chiaramente, la minoranza favorevole a questa torsione è numericamente tutt’altro che trascurabile, avendo raccolto attorno all’emendamento di D’Attorre una sessantina di delegati. Si staglia, dalle parole di Vendola, una prima rilevante distinzione fra diritti civili e diritti socio economici, che non si può dire fosse nelle corde del Nichi del passato recente. Più in generale, si intuisce l’intento di costruire un partito radicale, nel senso positivo del termine, ovvero non settario e minoritario, con vocazione di governo ma su posizioni di forte critica al neoliberismo imperante.

giovedì 16 febbraio 2017

IL LASCITO DI MICHELE ALLA SUA GENERAZIONE di Norberto Fragiacomo




IL LASCITO DI MICHELE ALLA SUA GENERAZIONE
di
Norberto Fragiacomo




La lettera d’addio del “precario” (così, un po’ semplicisticamente è stato etichettato da molti giornalisti) udinese, rilanciata con qualche imbarazzo dai media nazionali, non lascia indifferente il lettore, già oscuramente turbato dal fatto che quelle parole – meditate e soppesate a lungo, è evidente - provengono da un altrove, dal “paese inesplorato dal cui confine nessun viaggiatore ritorna” .
La voce è quella di un trentenne, nato al crepuscolo di un’età dell’oro presto mutatasi in età di ferro, ed è una voce limpida, chiara e al tempo stesso sideralmente distante, che – in epoca di analfabetismo da cellulare – si esprime per di più in un italiano corretto, nient’affatto banale. Le emozioni cozzano fra loro, mentre la lettura procede: c’è compassione per chi è stato condotto a una decisione estrema; rispetto per un giovane che dimostra una dignità e una capacità di analisi non comuni; un certo, inevitabile sgomento di fronte alla lucidissima rivendicazione di un diritto a scegliere che, una volta esercitato, preclude qualsiasi ulteriore scelta. Ecco: il tratto caratterizzante è una desolata, raggelante lucidità.

domenica 12 febbraio 2017

ONESTÀ: CROCE E DELIZIA DI ROBESPIERRE di Lorenzo Mortara






ONESTÀ: CROCE E DELIZIA DI ROBESPIERRE 
di Lorenzo Mortara





Circola in rete, tratto dall’Etica e Politica, un passo di Benedetto Croce molto irriverente verso la pretesa onestà dei politici. Da quando i grillini ne hanno fatto la loro bandiera, il sudiciume d’Italia, mal sopporta che qualcuno invochi l’onestà. Ma come? Io Direttore di banca, Capitalista d’assalto, Politico consumato, Editorialista di grido del libero commercio, in breve mariuolo di professione dovrei anche essere onesto? E a che serve la scalata sociale se poi non ho il diritto di delinquere e rubare come i superiori che ho tanto inseguito? Così pensa il Briatore di turno, ma il Briatore di turno è un po’ volgare, non ha fatto le scuole alte, esprime in maniera troppo diretta il suo pensiero, ha quindi bisogno che, al di sopra dei suoi bassi istinti, un chierico ricami una teoria così tanto profumata e melliflua da trasformali in filosofia, complicando con la sua retorica una cosa che, senza machiavellismo, sarebbe tanto semplice come il buon senso. Ed è al supermercato degli intellettuali fascisti quando bisognava essere antifascisti e degli intellettuali antifascisti quando non serviva più a niente, che i Briatore trovano il chierico che fa al caso loro, il nostro Croce, Don Benedetto appunto.

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