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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 16 dicembre 2015

CON SARKOLLANDE VINCE SOLO LA UE di Norberto Fragiacomo




CON SARKOLLANDE VINCE SOLO LA UE
di
Norberto Fragiacomo




Dopo aver incendiato la Francia con profezie sottratte al sulfureo Houllebecq, il premier unionista Manuel Valls si ripresenta ai media in uniforme austera da pompiere, dicendo pressappoco così: “non abbiamo ceduto niente, ma il pericolo non è eliminato.” Se “non canta vittoria” (così i giornali nostrani) è per salvare le apparenze: sulla carta, i vincitori delle elezioni amministrative 2015 sono i Républicains di Sarkozy, cioè un partito “rivale”. La realtà è ovviamente diversa: a trionfare è stato il blocco di potere europeista, che per esigenze di marketing si propone ogni volta agli elettori indossando una collezione di maschere.

Tredici a zero: non finivano così neanche le partite del ruspante Lussemburgo anni ’80. Il risicato successo di Marine Le Pen alla tornata del 6 dicembre si è rivelato una vittoria di Pirro – anzi, qualcosa di meno, paragonabile a quelle sparate che ti intasano il profilo Facebook per un giorno, e l’indomani finiscono dritte nel dimenticatoio. I giornalisti – disinformatori spesso disinformati – volevano farci credere che 5-6 regioni fossero già in saccoccia al Front National, ma era una balla: il meccanismo elettorale francese ricorda un po’ quello delle coppe europee, con partite di andata e ritorno e la particolarità che, nel retour match, una delle squadre può scendere in campo a ranghi rinforzati. E il ballottaggio di cui si favoleggiava? E’ una figura mitologica: non esiste proprio.


Non simpatizzo per il FN, e in una classica elezione proporzionale mi guarderei bene dal votarlo. Fossi stato francese, ieri la mia scelta sarebbe stata tuttavia “eretica”.

Provo a spiegarmi. A parte il loro elettorato, Marine e Marion avevano contro tutti – ma proprio tutti – quelli che contano: dalla chiesa agli industriali, dai partiti classici (aggiungo “di sistema”) alla UE, senza contare i mercati. Alla vigilia della tornata la confindustria francese aveva lanciato l’allarme: questi vogliono aumentare il salario minimo e abbassare l’età pensionabile a 60 anni… fanno promesse irresponsabili, da comunisti! Per non parlare poi dell’avversione a Bruxelles e al sacro dogma degli Stati Uniti d’Europa, tanto cari a madame Boldrini… Insomma: la xenofobia - un po’ reale e un po’ ingigantita - era il classico specchietto per le allodole, a preoccupare sul serio l’establishment erano i programmi economico-sociali “fuori moda” del FN. L’esperienza Tsipras ci insegna che i programmi elettorali sono fogli di carta di cui ci si disfa con disinvoltura, ma visto che il tempo è denaro sempre meglio non rischiare: l’usato sicuro si fa preferire, visto che la sua ubbidienza è a tutta prova. Per i potentati economici che a rappresentarli siano socialisti o repubblicani, socialdemocratici o conservatori, piddini vecchia maniera o nouvelle vague renziana fa lo stesso: l’importante è che i politici prestino orecchio ai suggerimenti delle lobby più influenti.

In breve: l’esito di domenica 13 era scontato, a patto che si riuscisse a mobilitare gli elettori azzeccando le parole d’ordine. Così è stato (l’affluenza è cresciuta addirittura di 15 punti percentuali), ed è andata come doveva andare. I ritratti fotografici di una Marine Le Pen stordita, quasi affranta, ci dicono che la donna è intelligente, ha già compreso: a meno di sconvolgimenti imprevedibili le presidenziali del 2017 saranno una replica dell’ultima puntata, e lei passerà alla Storia (se ci sarà ancora, una Storia) come una marescialla perennemente sconfitta. Secondo l’autore di Sottomissione, il destino ha in serbo per la figlia di Jean Marie due consecutive batoste presidenziali: chissà, forse la seconda toccherà alla bella, giovane e bigotta Marion Maréchal (nomen omen?). La prima dovrebbe esserle inflitta da Hollande: non è da escludersi, anche se il federatore potrebbe essere il rampante Valls o qualsiasi altro portaordini social-repubblicano.

Allo stato attuale dalla prigione UE non si esce né da sinistra né da destra, e le prossime elezioni spagnole confermeranno il dato di esperienza. In questo quadro il ruolo interpretato dalla c.d. “sinistra estrema” è senz’altro marginale. Lo sarebbe a prescindere, perché le regole del gioco prevedono trucchi, e vantaggi d’ogni genere per uno dei giocatori: sarebbe pertanto ingeneroso colpevolizzare il Front de Gauche perché non ha vinto. Il miserrimo 4% ottenuto in un Paese in via di impoverimento e la perdita del voto operaio (e giovanile) a beneficio del FN non sono tuttavia accidenti addebitabili alla ria sorte: la sinistra francese si rimpicciolisce perché, anziché affrontare i nemici veri, continua a duellare con i fantasmi. Incapace di aggiornamento, seguita a confondere copertine e contenuti: le proposte gauchiste della Le Pen sono comunque rifiutate per la loro provenienza, i sedicenti socialisti, malgrado le politiche schiettamente di destra, sono “compagni” con cui, di fronte all’emergenza “fascista”, è necessario trovare un accordo purchessia. E l’Unione Europea? Critichiamola con juicio! sembra essere il motto (anche dell’evanescente Podemos, fumo senza arrosto né piatto). Sarà pure iperliberista, d’accordo; guerrafondaia e al servizio della NATO e degli USA, senza dubbio; morbosamente attaccata al principio di concorrenza e a quello di libertà di stabilimento, impossibile negarlo… sarà anche la portatrice malsana del virus dell’austerità di massa, ma almeno i suoi funzionari non hanno le teste rasate e poi, in fondo in fondo, chi dice che non sia riformabile? Lo dicono i fatti, che hanno la testa dura, ma i nostri bravi marxisti ce l’hanno più dura ancora, e continuano a vagolare, scagliare anatemi e concionare aspettando una Rivoluzione che di cognome fa Godot.

La Gauche aveva due opzioni, domenica scorsa. La prima – rispettabilissima e “moderata” – era dire ai propri elettori: tra la destra xenofoba e quella economica il meno peggio non esiste, statevene a casa! La seconda – più coraggiosa, ma certo scioccante per un elettorato in crisi di identità – era mettere in evidenza come, al giorno d’oggi, il pericolo maggiore venga dal capitalismo senza freni né pietà impersonato dalla UE, che va fermata a qualsiasi costo (sempre che sia possibile, ed io dubito che sia possibile, perlomeno con l’arma spuntata del voto… ma tentar non nuoce). Non un’indicazione esplicita, sarebbe stato troppo: bastava un ragionamento. E di ragioni per votare controcorrente ce n’erano almeno due: una piattaforma programmatica da sottoporre alla prova dei fatti (il duo Holland-Valls non riserverà sorprese: è neoliberista fino al midollo) e l’opportunità di destabilizzare la UE, di cui la Francia è una trave portante. Un marxista francese avveduto avrebbe colto l’occasione al volo, senza per questo riappacificarsi col vecchio nemico.

La terza opzione non c’era, a meno di non voler battezzare “opzione” un riflesso pavloviano. Non c’era, ma il Front de Gauche se l’è inventata: accordarsi con la destra di Hollande, strisciare dalla porta di servizio nel salone delle ammucchiate, “guadagnarsi” il pane nero della sopravvenienza politica. A posteriori le scuse si trovano sempre: abbiamo sostenuto Tizio e Caio perché integerrimi ecc. Scuse, per l’appunto: votare PSF significa oggi avallare le politiche neoliberiste di Presidente e premier. Quattro per cento, ma il residuo di credibilità sta ben al di sotto di quest’infima percentuale, destinata a ridursi anno dopo anno, fino al raggiungimento dello zero assoluto.

Il marxismo non è roba da travet, non ha per stella polare affinità sorpassate e poltrone di terza fila. Si accettano scommesse su un altro “vaticinio” di Houllebecq: tra dieci anni i francesi sentiranno in un talk show televisivo Mélenchon criticare pacatamente un regime oppressivo ma astutamente “liberale”. Forse non si realizzerà, ma non mi pare affatto sballato.

Per quanto concerne l’Italia, già si odono voci favorevoli ad importare il modello fronte repubblicano per far fuori il M5S in ipotetici ballottaggi (autentici). Prevedo difficoltà: il movimento di Grillo e Di Maio non ha scheletri fascisti nell’armadio; inoltre, la destra ufficiale italiana è meno spendibile, per gli eurocrati, di quella d’Oltralpe.


Andrà a finire che ringrazieremo Berlusconi per la sua inaffidabilità…




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