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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 10 marzo 2015

COMPAGNO SEGRETARIO, ATTENTO: DAL TUBETTO DI BRUXELLES ESCE SOLO VELENO! di Norberto Fragiacomo






COMPAGNO SEGRETARIO, ATTENTO: DAL TUBETTO DI BRUXELLES ESCE SOLO VELENO!


Presentato a Trieste, giovedì scorso, il saggio di Paolo Ferrero dal titolo “La truffa del debito pubblico”.

di
Norberto Fragiacomo




Faccio una premessa, tanto doverosa quanto sincera: nutro per Paolo Ferrero simpatia e stima.

Rammento la prima volta che l’ho visto dal vivo: fu alla Casa del Popolo Palmiro Togliatti - a Borgo S. Sergio, periferia di Trieste. A introdurre il segretario fu il senatore Stojan Spetic, stazza da orso bianco e voce tonante (e, scoprii in seguito, doti di coraggio, autorevolezza e prudenza: una mattina, in piazza Unità, si frappose tra poliziotti e studenti, evitando a questi ultimi – mandati allo sbaraglio – legnate e conseguenze peggiori): all’ombra del gigante sloveno Ferrero, col suo inseparabile sigaro in mano, mi parve minuscolo, quasi rattrappito. Di cose da dire ne aveva, però, e l’acutizzarsi della crisi gli ha offerto riserve di nuovi argomenti, sempre espressi con educazione e pacatezza. Mai sopra le righe, mai arrogante come una Moretti qualsiasi: il segretario valdese studia le questioni, le approfondisce, poi le spiega con parole semplici a chi, anziché contentarsi della propaganda giornalistica, cerca di afferrare qualche brandello di verità. Ripeto, riconosco all’ex ministro serietà e onestà intellettuale: le critiche a Monti “più a destra di Berlusconi” (2012) e la sofferta presa di posizione sull’Ucraina (nazi)“democratica” sono solo due fra i tanti esempi che potrei citare. Poi ci sono i libri, saggi asciutti e documentati che aiutano a capire: l’ultimo, intitolato “La truffa del debito pubblico” è stato presentato a Trieste giovedì scorso, nella sede di Rifondazione Comunista.

Non si risparmia mai, Ferrero: visibilmente stanco dopo vari incontri pomeridiani ha iniziato, alle nove passate, a snocciolare dati e suggerire correlazioni, rispondendo nel finale a tutte le domande provenienti dal pubblico, non numerosissimo (Trieste va a letto presto, non ama i dibattiti serali) ma partecipe. Leggerò il libro con attenzione, mi sono ripromesso, ma… sì, insomma, non posso negare di essere uscito dalla sala un poco contrariato, deluso.

Non certo dall’esposizione: col suo linguaggio chiaro, senza fronzoli, il segretario è andato al nocciolo del problema del debito italiano, individuato nella “separazione” tra Ministero del tesoro e Banca d’Italia che ebbe luogo nel 1981. Fino ad allora, dice, il debito pubblico rimase ampiamente sotto controllo: i titoli invenduti erano appannaggio di Bankitalia, che era tenuta ad acquistarli; il fatto che il loro rendimento fosse inferiore al tasso d’inflazione era garanzia di un futuro finanziariamente tranquillo. Perché allora Andreatta e Ciampi fecero questa mossa “improvvida”? Perché – pare – la crescita costante della spesa pubblica teneva viva l’inflazione, nemico giurato dei percettori di rendite: il confronto con i mercati avrebbe “responsabilizzato” lo Stato, imponendo alla politica un uso parsimonioso delle risorse. Il Governo Craxi, in verità, continuò a spendere e spandere, ma – venuto meno il ruolo calmierante della Banca d’Italia – niente poté fermare la crescita dei rendimenti pretesi dagli investitori privati. Pochi anni e il debito raddoppiò percentualmente, malgrado il progressivo contrarsi della spesa pubblica: il secondo Governo Prodi riuscì a riportarlo intorno al 100% del PIL - ma fu effimera vittoria, perché il “risanatore” Monti l’ha ricondotto ad antichi fasti, e ancor più in alto. Una montagna? Piuttosto un asteroide che – giurano i terroristi mediatici – rischia di caderci in testa da un momento all’altro.

Perché “truffa”, allora? Perché Ferrero cita, cifre alla mano, un’altra data fatidica, un secondo spartiacque: il 1992. Ventitré anni fa Giuliano Amato, a capo dell’esecutivo, fece approvare la madre (finora) di tutte le manovre: una stangata da 90 mila miliardi di lire. Da allora il bilancio dello Stato è in perenne avanzo primario, vale a dire che ogni anno le entrate superano le spese al netto degli interessi sul debito. Mentre i fondi per il sostegno al welfare calano e i tributi aumentano, una quota di risorse intorno agli ottanta miliardi di euro annui viene prelevata dalle tasche dei cittadini (lavoratori dipendenti e pensionati in primis) per pagare dei rentiers che prosperano senza rischiare nulla. I poveri si sacrificano per i ricchi, e per soprannumero vengono colpevolizzati: qui sta la truffa.

Ferrero, in realtà, ha detto parecchie altre cose convincenti, lasciando intendere che questo meccanismo perverso non è una bizzarria del destino, un frutto della casualità, bensì il risultato di scelte consapevoli ed “ideologiche”. Concordo? Senz’altro! Cosa c’è che non va, allora? Le conclusioni, che non appaiono in linea con le premesse. La truffa, in quanto tale, presuppone il dolo del suo autore, cioè la volontà di condotta ed evento. In certi passaggi, tuttavia, Ferrero allude ad una non meglio precisata inettitudine, “cecità” dei governanti, dopo che lui stesso ci ha chiarito: 
1) che il debito pubblico è un falso problema, creato ad arte; 
2) che se così non fosse, non si comprenderebbe perché un Paese come il Giappone, che ha un rapporto debito-PIL superiore al 200%, non sia sotto tiro; 
3) che l’Europa è ancor oggi, malgrado tutto, la parte più prospera del pianeta, visto che il suo PIL complessivo è almeno il doppio di quello USA.

Mi sono permesso allora di chiedergli: non ti sembra, compagno segretario, che questi elementi “gravi, precisi e concordanti” suggeriscano l’idea di una strategia di lungo periodo tesa alla privatizzazione integrale della ricca Europa? E che, se è vero come è vero che l’attuazione del piano è stata affidata ad istituzioni UE e governi nazionali “responsabili”, contare sulla resipiscenza di costoro sia indice di ingenuità? Perché se esiste una truffa non può mancare il truffatore, e le prove di una connivenza stabile tra beneficiari e decisori politici sono pleonastiche: siamo in presenza di un fatto notorio. In fondo, gli scopi più abbietti possono venir perseguiti con intelligenza e abnegazione. Detto con altre parole: augurarsi che l’Unione Europea e Renzi si ravvedano equivale a sperare che uno stupratore seriale cambi improvvisamente vita e si metta a coltivare fiori – eventualità sommamente improbabile, e sulla quale comunque non si può fare ragionevole affidamento.

Niente da fare: mi viene risposto che è troppo tardi per fare marcia indietro, che l’unione è un dato di fatto e che “il dentifricio è ormai uscito dal tubetto”; che il rinchiudersi nei confini nazionali porta al risorgere di ostilità e conflitti, è un’opzione di destra. Su quest’ultima considerazione concordo, ma non penso affatto che l’unica alternativa alla Lega neoliberista (proposta di flat tax) e reazionaria (Salvini: siamo sempre dalla parte dei poliziotti!) sia Renzi, per il semplice fatto che Renzi è TINA, ma TINA è anche la denuncia fine a se stessa di chi continua a lavarsi i denti col veleno, perché il tubetto è a portata di mano e non si sa dove trovarne un altro.

Se, come opina Ferrero, la battaglia di Tsipras si svolgerà nel rispetto delle regole imposte dall’eurocrazia il flop è assicurato: le dichiarazioni di Dijsselbloem (l’ennesimo neoliberista nordico travestito da “esponente della sinistra moderata”, che prima loda ipocritamente gli sforzi fatti e poi ti schiaffa l’insufficienza), aggiungendosi alle mosse di Draghi sul quantitative easing, manifestano il chiaro intendimento di costringere la Grecia ad una resa rapida e senza condizioni. Di fronte a tanta cupa determinazione cosa resta da fare al leader ellenico? Invocare rispetto e giustizia per il suo Paese allo stremo? Non scherziamo: quando mai le suppliche di un commerciante sul lastrico hanno fatto breccia nei cuori induriti degli usurai? O paghi o ti ammazziamo è la replica standard – e il messaggio che le istituzioni sovranazionali stanno danno a Tsipras è il medesimo, sia pure espresso con toni più forbiti.

La Grecia non ha sette-otto mesi; in marzo, forse, non avrà manco i soldi per pagare gli stipendi pubblici. Ha bisogno di un aiuto esterno, e quell’aiuto non verrà da Bruxelles, causa principale delle sue disgrazie. L’unico Stato a poterlo fornire in questo momento è la Russia di Putin, ansiosa di riaffacciarsi sul Mare Nostrum (un coinvolgimento della Cina lo vedo improbabile: gli Han sono meno sotto pressione, e la loro cautela è ben nota). Un azzardo? Direi un matrimonio di convenienza, e l’alleanza spregiudicata (ma corretta) con ANEL ha dimostrato che Tsipras non è restio a contrarne, quando gli sono indispensabili.

Per disarmare il taglieggiatore servono coraggio, maestria e mezzi adeguati: serve qualcuno che, per il bene dell’intera famiglia, getti via il dentifricio e se ne procuri uno nuovo, magari ricorrendo alla concorrenza. Altrimenti le belle parole, le analisi e le promesse di un mondo decente resteranno segni grafici su inutili fogli di carta.






2 commenti:

Renato ha detto...

Ho letto una bella intervista ad un economista australiano, intimo amico di Varoufakis, il quale diceva una cosa a cui in pochi hanno pensato e che invece mette molte più frecce nell'arco di Tsipras di quante immaginiamo. Nessuno può togliere la Grecia dall'euro, non esistono leggi a riguardo per cui un eventuale default ellenico graverebbe su tutta l'Europa e la cosa non farebbe bene a nessuno, per cui non è così scontato che i neoliberisti europei non si pieghino alle richieste Greche. In ogni caso mi è piaciuto il tuo articolo. Anche io mi accingo a leggere il libro.

Norberto ha detto...

Caro Renato,
grazie per l'apprezzamento. Anch'io ho sentito parlare della questione, staremo a vedere, il Governo Tsipras ha molto opportunamente ritirato fuori il tema della responsabilità tedesca per i danni dell'occupazione nazista... la mia impressione è che non abbia le idee chiarissime, stia facendo un po' di giustificata melina mentre è alla ricerca di una via d'uscita (e questo indica che perlomeno ha voglia di battersi).

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