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domenica 31 agosto 2014

IL BALOCCA-ITALIA, OVVERO COME TI GABBO L'OPINIONE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI di Riccardo Achilli



IL BALOCCA-ITALIA, OVVERO COME TI GABBO L'OPINIONE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI
di Riccardo Achilli



Può essere comprensibile che, fra gavettoni di acqua fredda e coni gelato, si possa creare, per il nostro premier, il rischio di congestioni e blocchi gastrici, per cui il nome del provvedimento licenziato dal Cdm di venerdì scorso (Sblocca Italia), che sembra quello di un lassativo, possa discendere da bisogni imperiosi di liberazione del tratto gastro-intestinale. D’altra parte, anche l’espressione renziana “ripartire con il botto” può ricordare aspetti post-digestivi di intasamento intestinale.
In verità, a fronte di una situazione inedita per il nostro Paese, ovvero la combinazione letale fra recessione e deflazione, che rischia seriamente di farci passare anni a fronte dei quali la crisi vissuta finora ci apparirà come uno scherzetto, il provvedimento-lassativo licenziato dal Governo è una divertente via di mezzo fra fuffa depistante, pubblicità ingannevole e autoritarismo amministrativo. Il tutto, evidentemente, privo di una sia pur vaga strategia d’insieme, di quella visione di “ciò che vogliamo essere” che Squinzi, probabilmente pentitosi di aver sostenuto l’ascesa di Renzi, ha implorato. Un provvedimento inorganico e inflazionato, che sembra uno dei classici decreti “omnibus” dei Governi della Prima Repubblica, dove si stiocca dentro di tutto: norme che spaziano dall’edilizia ai porti, dal made in Italy al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, dalla Cassa Depositi e Prestiti al potenziamento delle estrazioni petrolifere, passando dalla rete Ict e dai sistemi fognari urbani. 

Il piatto forte, ovvero gli interventi infrastrutturali, si riduce in una serie di riprogrammazioni di soldi già stanziati, che vengono destinati a dare una boccata d’ossigeno ad alcune grandi opere oggi bloccate, per consentire qualche stato di avanzamento, senza peraltro portarle a compimento. Stiamo parlando di 200 milioni per il terzo valico di alta capacità ferroviaria dei Giovi, che avrebbe bisogno di 1,5 miliardi per essere portata a termine, 90 milioni alla alta velocità ferroviaria Brescia-Padova (che si aggiungono al miliardo già stanziato nel 2013, su un fabbisogno di 7,8 miliardi), 270 milioni per il nuovo tunnel del Brennero, che però aveva bisogno di 1 miliardo per bandire la nuova tratta (e quindi rimarrà fermo), 120 milioni al quadrilatero autostradale Marche/Umbria, che però ha bisogno di 650 milioni per chiudersi, 400 milioni per i lotti ancora aperti della Salerno-Reggio Calabria e 50 milioni per la terza corsia dell’autostrada Venezia-Trieste. Poi l’elenco snocciola finanziamenti ad un panoplia di opere non cantierabili entro 12 mesi (ad esempio, i 270 milioni appostati sulla statale 131, tratta per la quale occorre ancora fare la gara d’appalto) o addirittura incagliate, o di dubbia realizzabilità (210 milioni sono appostati sull’adeguamento della Statale Telesina, per il quale si prevede un bando in project financing, ma i finanziatori privati latitano).


Nell’insieme, le risorse aggiuntive messe effettivamente sul piatto dal Governo ammontano a 3,8 miliardi (a fronte dei 43 sbandierati da Renzi per tutta l’estate, prima che Padoan lo prendesse per un orecchio). Esse derivano da riprogrammazioni di fondi provenienti da opere già finanziate ma per qualche motivo bloccate o revocate (cioè dal Fondo Revoche) per 1,3 miliardi, e dal Fondo Sviluppo e Coesione per gli altri 2,5 miliardi.
A queste vanno aggiunte opere già finanziate ma incagliate per motivi burocratici, oppure per più che legittimi motivi di tipo ambientale. Da far partire a costo zero. Lavori che valgono poco meno di 28 miliardi. 
E qui la fantasia non ha freni: si parla di potenziamenti infrastrutturali per cinque aeroporti (di cui uno, quello di Firenze, prevede una pista da allungare, che è avversata, per motivi ambientali, sia dal Comune di Prato che dalla Regione Toscana. Ma non importa, tanto Renzi non prende lezioni da nessuno e va avanti comunque), dell’Alta Capacità ferroviaria Napoli-Bari, che con la sola imposizione di un commissario-sciamano potrà partire, non si sa bene come, nel 2015, anziché nel 2016, come programmato (viene da pensare alla mitica “imposizione delle sole mani” del mago televisivo peruviano Giucas Casella), della linea Messina-Palermo-Catania, della Cispadana, delle linee metropolitane “C” di Roma, della metro di Napoli e di quella di Firenze.
Rispetto a tali opere si conta, molto fideisticamente, di sbloccare la situazione o con la nomina di commissari (ma l’esperienza italiana in questo senso non indica grandi accelerazioni di spesa con le gestioni commissariali) o con fantasiose misure di “semplificazione” (come quella che, per le piccole opere, prevede di costituire un elenco di fornitori attestato presso una costituenda unità di missione presso Palazzo Chigi, o quella che prevede di far decadere e rimettere a gara concessioni in cui alcuni stralci vengono dichiarati non fattibili sotto il profilo economico e finanziario da banche assunte come consulenti) .

Tali misure di “semplificazione”, oltre che fantasiose, spesso tracimano nell’autoritarismo burocratico.  
A puro titolo  di esempio, fra le numerose porcherie contenute nel provvedimento, emergono le seguenti: per le opere che provocano potenziali danni paesaggistici, il soprintendente avrà solo sessanta giorni per proporre ricorso, ovviamente motivato e circostanziato, altrimenti varrà il silenzio-assenso (evidentemente sessanta giorni non bastano nemmeno per una seria perizia, necessaria alla motivazione); in caso di ritrovamento di un bene archeologico immobile durante gli scavi, il parere del Soprintendente, mirato a proteggere il bene ritrovato, potrà essere oggetto di ricorso da parte dell’azienda esecutrice, ed il ricorso sarà giudicato da una Commissione ministeriale di esperti….pagati dall’azienda ricorrente!!! (Esperti che ovviamente difficilmente daranno ragione alla Soprintendenza, quand’anche si ritrovassero i resti di Atlantide). Ancora: in deroga rispetto alla legislazione ordinaria, per quanto riguarda l’Alta capacità ferroviaria Napoli-Bari, il commissario del Governo potrà decidere di eventuali opposizioni che dovessero emergere in sede di Conferenza di servizi, in materia di tutela ambientale, paesaggistica o storico-archeologica. Evidentemente, poiché il commissario verrà giudicato per la sua capacità di completare l’opera nel più breve tempo possibile, egli deciderà, nel 99% dei casi, contro l’opposizione di tipo ambientalista o storico-culturale. E non parliamo dello sblocco d’ufficio del gasdotto Tap, fondamentale opera sotto il profilo geopolitico, ma che crea non poche perplessità sotto quello ambientale.

Di fatto, per finalità anticicliche, cioè per promuovere occupazione e ricchezza nel 2014-2015, ed a meno che per effetti sciamanici legati alle semplificazioni dello Sblocca Italia non si sblocchino le infrastrutture congelate di cui sopra, saranno disponibili solo 365 milioni. 60 per il 2014, 305 per il 2015. Il resto sarà spendibile solo a partire dal 2016, ma a quel punto, se saremo ancora in crisi, vorrà dire che saremo morti. 
In pratica, per il biennio in cui dovremmo cercare di uscire dalla recessione/deflazione, ci si affida a una iniezione di spesa pubblica per investimenti pari allo 0,02% del PIL, spalmata su un anno e mezzo. Quand’anche, come ottimisticamente ha detto Renzi, nel giro di 18 mesi si sbloccassero, miracolosamente, altri 10 miliardi dalle opere congelate di cui sopra, avremmo una iniezione di spesa pubblica pari a poco meno dello 0,5% del PIL. Roba da 3.000 nuovi addetti di cantiere, che evidentemente in larga misura sparirebbero a cantieri finiti. Che non sposta nemmeno di un decimale le statistiche del mercato del lavoro. Ma francamente, pensare di sbloccare 10 miliardi, ovvero il 36% del valore totale di lavori bloccati spesso da decenni, nel giro di 12-18 mesi, è impresa che nemmeno Churchill riuscirebbe a fare.

Anche la trionfalistica marcia sulla Cassa Depositi e Prestiti, che secondo il Governo sarebbe stata equiparata, per operatività a supporto dell’economia, agli altri modelli europei (in particolare, è implicito il riferimento alla Kfw tedesca) va molto moderata. E’ vero, l’ambito operativo della CDP è stato ampliato, ed è stata prevista la possibilità che CDP finanzi l’economia, anche su attività di investimento rischiose, come quelle in R&S effettuate magari dalle PMI, con esposizione assistita da garanzia dello Stato. Però viene da chiedersi fino a quando la CDP potrà essere usata come bancomat per qualsiasi cosa. Già è utilizzata, dallo stesso Governo Renzi, per rimborsare 60 miliardi di debiti alle imprese, su 240 miliardi circa di risparmio postale che detiene. Il rischio concreto è che non riesca più a finanziarsi nemmeno con la garanzia dello Stato, se non per piccole cifre, e che quindi la sua azione a supporto dell’economia sia debole.

Stendo un pietoso velo sulle numerose misure di semplificazione del mercato immobiliare (dal regolamento edilizio unico per tutti i Comuni, all’estensione dell’uso della Scia per i frazionamenti o accorpamenti, ecc.) per il semplice motivo che, se non c’è domanda e non c’è liquidità, il mercato edilizio non ripartirà, solo perché alcune procedure sono più semplici. Oppure sui 220 milioni, spalmati fra 2015 e 2017, per il “piano per l’export”, ovvero, detto in modo più semplice, per finanziare le consuete e tradizionali linee di attività ordinaria di Ice e Invitalia (fiere, attività promozionali, studi di mercato, ecc.) spacciate per attività innovative. E, per carità di Patria, tacerò anche sull’avvio dell’opera di smantellamento del settore portuale italiano, attuata mediante irrazionali accorpamenti di Autorità Portuali (fatti solo per risparmiare qualche euro) in cui, ad esempio, due porti in competizione come Napoli e Salerno vengono accorpati sotto una unica Autorità, oppure si fondono porti completamente diversi per natura e attività, come Gioia Tauro (attiva nel transhipment) e Messina (specializzata nel Ro-Ro). Nuove Autorità Portuali più ampie, quindi più complesse, finanziate, per svolgere molteplici funzioni di programmazione, gestione, controllo ed anche intervento infrastrutturale diretto, mediante un irrisorio 1% dell’IVA sulle importazioni transitate dai relativi porti di appartenenza (2% se si accorpano), e per le quali è infatti previsto che esse debbano ricorrere a capitale privato, sotto forma di finanza di progetto, per realizzare le opere, sviluppando ulteriormente il concetto di privatizzazione dei porti.


Un provvedimento mostruoso, di modestissima utilità, dannoso su alcuni aspetti, buttato lì tanto per “fare densità”, come si dice in gergo calcistico, e dare l’idea che si sta lavorando per far galleggiare un Paese che affonda sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. E che certo non può essere salvato da scenette da commedia dell’arte, come quella inscenata con il carrettino del gelato sotto Palazzo Chigi. 



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