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giovedì 26 giugno 2014

I RISCHI GLOBALI DI UNA LOCOMOTIVA USA CHE NON RIPARTE di Riccardo Achilli




I RISCHI GLOBALI DI UNA LOCOMOTIVA USA CHE NON RIPARTE
di Riccardo Achilli

Il calo del 2,9% del PIL statunitense, su base tendenziale, al primo trimestre, solo in parte dipende dagli eventi meteorologici sfavorevoli, che al più pesano per un punto. Dimostra infatti come la ripresa degli USA sia drogata da incentivi monetari e dal basso tasso di cambio del dollaro. Nonostante la tendenza ad una continua svalutazione del dollaro sull'euro, rallentatasi soltanto nell'ultimo bimestre (ma il tasso di cambio del dollaro, a giugno 2014, rimane comunque svalutato rispetto a giugno 2013, cfr. grafico sotto riportato, di fonte Bankitalia) il saldo commerciale USA, nel periodo gennaio-aprile 2014, è negativo per 243 milioni di dollari, a fronte del deficit di 232,2 milioni del corrispondente quadrimestre del 2013. Ciò evidenzia una modesta e declinante competitività internazionale, alimentata anche da una dinamica della produttività piuttosto deludente (nel primo trimestre cresce per meno di un punto tendenziale, meno dell'aumento dei salari, con un CLUP che cresce di 1,3 punti sul medesimo periodo).




La domanda interna è debole, e drogata. I consumi privati crescono, nel primo trimestre, soltanto di 0,3 punti congiunturali e di 1,2 punti tendenziali, e a maggio mostrano segnali di regresso (con un calo di acquisti di beni durevoli). Gli investimenti fissi lordi interni crescono del 4,1% su base annua, ma fra ultimo trimestre del 2013 e primo del 2014 diminuiscono del 2,7%, anche a causa della flessione continua degli investimenti pubblici, sia federali, che statali, che locali. Flessione che dura sin dalla seconda metà del 2011, sotto la spinta di politiche di austerità che dovrebbero riportare il deficit federale al  2,8% del PIL nel 2014, dal 4,1% del 2013. Gli investimenti privati, dal canto loro, rallentano perché le imprese stanno rivedendo al ribasso i loro programmi di investimento. Ciò si riflette anche sui prestiti bancari alle imprese, che crescono ancora, ma meno dinamicamente (a maggio crescono, in termini tendenziali, dell'8,8%, a fronte del +12,5% del primo trimestre).

Sebbene la crescita occupazionale proceda a ritmi rapidi (a maggio si sono creati 217.000 nuovi posti di lavoro) e aumentino anche i posti vacanti, come effetto di previsioni imprenditoriali di crescita produttiva nei prossimi mesi (+600.000 fra aprile 2013 ed aprile 2014) alcuni segnali potrebbero lasciar pensare che tale dinamica espansiva stia rallentando. Le ore medie settimanali di lavoro, infatti, a maggio non variano affatto, mentre aumenta il ricorso agli straordinari nell'industria manifatturiera. Segno che alcune imprese potrebbero aver iniziato una fase di ripensamento sui loro programmi di espansione degli addetti nei mesi a venire. D'altra parte, i profitti delle imprese da produzione corrente diminuiscono di 198,3 miliardi nel primo trimestre 2014, e ciò evidentemente avrà effetti restrittivi sui loro programmi di sviluppo dei mesi a venire.
Sembra che senza il tubo del gas dei vari quantitative easings l'economia USA non ce la faccia a ripartire in modo stabile e duraturo, per difetti strutturali di competitività internazionale, e per il ristagno della domanda interna, con i consumi che ancora non ripartono stabilmente, dopo le forti perdite reddituali e patrimoniali subite dalle famiglie negli anni scorsi (l'indice di fiducia dei consumatori a stelle e strisce, sebbene in crescita, a giugno è ancora pari all'85,2%, quindi è lontano dalla baseline di 100), con gli investimenti privati in calo e programmi di sviluppo delle imprese che potrebbero essere rivisti verso il basso, interrompendo la ripresa produttiva ed occupazionale in atto dall'anno scorso, e con una restrizione della domanda pubblica, legata al forte deficit federale ed al superamento del tetto massimo di debito, più volte spostato verso l'alto da un Congresso sempre più riluttante a concedere altri margini all'Amministrazione Obama.

D'altra parte, già oggi il deprezzamento continuo del dollaro riduce fortemente l'impatto delle misure straordinarie adottate dalla Bce lo scorso 5 giugno, e la forzosa prosecuzione di una politica monetaria molto accomodante da parte della Fed (perlomeno sul piano dei tassi di interesse) come reazione all'indebolimento della crescita statunitense, ridurrà ulteriormente tale impatto nei mesi a venire.
Ma, buttando l'occhio oltre la prospettiva immediata, non si può non essere preoccupati da una locomotiva economica primaria, come gli USA, che non riparte senza inondazioni continue di dollari a basso costo, che non riesce quindi ad ingranare la marcia in forma strutturale, e che, con profitti calanti nel settore reale e scarsa e decrescente competitività, non potrà che ritornare a macinare investimenti puramente finanziari, alimentando un nuova bolla speculativa. Gli indizi ci sono tutti. Nonostante la forte decrescita del PIL, infatti, i valori immobiliari continuano a crescere: le mortgage-backed securities, cioè gli inquietanti titoli garantiti da mutui ipotecari sulle case, dopo il punto di minimo toccato a gennaio (1.324 miliardi) hanno ricominciato a crescere sistematicamente, fino a 1.350 miliardi a metà giugno. L'indice Dow Jones dei fondi immobiliari statunitensi registra una rapidissima crescita a partire da inizio anno (cfr. grafico, di fonte DJI). Evidentemente, il nuovo gonfiamento del mercato immobiliare e della finanza legata al mattone negli USA, senza crescita del'economia reale, ha tutto l'aspetto di una nuova bolla finanziaria che si sta gonfiando.





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