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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 17 febbraio 2014

FRANCO RUSSO: NECESSARIO UN PROGETTO SOVRANAZIONALE PER ROMPERE L’EUROPA DEI MERCATI






FRANCO RUSSO: NECESSARIO UN PROGETTO SOVRANAZIONALE PER ROMPERE L’EUROPA DEI MERCATI
Giovedì 20 febbraio il cofondatore di Ross@ sarà a Trieste per partecipare con compagni italiani e sloveni al dibattito “Trattati europei: chi decide?”, che si terrà a partire dalle 17:30 nella sala di via Fabio Severo 14/b. L’abbiamo intervistato.

Intervista di
Norberto Fragiacomo




Franco Russo, classe 1945, vanta una lunga e coerente militanza a sinistra: iscrittosi nel 1961 alla FGCI - da cui venne espulso sei anni dopo per aver promosso il Centro antimperialista Che Guevara - ha preso parte al movimento del ’68 romano; cofondatore di Democrazia Proletaria (del cui gruppo parlamentare è stato presidente) e tra gli animatori della sinistra rosso-verde, ha poi aderito a Rifondazione Comunista, ricoprendo dal 2006 al 2008 la carica di deputato. E’ stato anche attivo nel Social Forum europeo da ‘Firenze 2002’. Nel 2012, assieme a Giorgio Cremaschi e ad altri, ha dato vita a Ross@.
Non è il classico politico che parla di tutto senza approfondire nulla: Russo conosce come pochi – non solo a sinistra – la complessa materia dei trattati e del diritto europeo. La sua posizione è chiara: il 14 dicembre, all’assemblea di Ross@, ha letto una relazione intitolata “Rompere l’Unione Europea” – unica via, sostiene, “per battere centrosinistra e centrodestra, al governo insieme in Italia, che portano avanti le politiche antipopolari dell’austerità. L’altro nostro nemico è il populismo.”
Franco Russo sarà a Trieste il 20 di febbraio, per partecipare a un dibattito transnazionale che coinvolgerà i giovani compagni sloveni di Iniziativa per un Socialismo Democratico e sindacalisti della Rete 28 Aprile: in previsione dell’evento l’abbiamo contattato telefonicamente per porgli alcune domande che gravitano, per l’appunto, intorno all’Europa e al suo/nostro futuro.


I: partiamo proprio dall’Europa. L’Unione e i suoi meccanismi di funzionamento sono pressoché sconosciuti al cittadino medio: non potrebbero rappresentare le prossime elezioni un’occasione per fare opera di divulgazione, per sensibilizzare le masse su temi così delicati e decisivi?
FR: già tempo fa, in occasione di un convegno, proposi di organizzare un Forum permanente sull’Unione europea e le alternative da costruire. Così facendo, daremmo effettivamente una continuità a quella che è una nostra necessità: riflettere sulle vicende UE e rilanciare un processo di lotte, di rivendicazioni, di conflitti a livello continentale. Sì, per lottare i cittadini devono innanzitutto sapere, essere al corrente.

I: questa crisi politico-finanziaria che chiamano “austerità” ci viene da molti presentata come una lotta fra la Germania e i suoi satelliti, da un lato, e l’Europa del sud dall’altro, una lotta impari e già decisa. E’ corretta questa interpretazione, o si tratta di una versione di comodo?
FR: se con questo s’intende una lotta tra borghesie nazionali, simile a quella di un secolo fa, la risposta è no: stiamo assistendo ad un altro spettacolo. In apparenza c’è lo scontro tra la borghesia greca e la borghesia tedesca. Ma si tratta di vera lotta, oppure noi stiamo assistendo a un processo di unificazione delle borghesie europee? Io penso che l’Unione Europea sia proprio l’espressione di questa tendenziale unificazione, per quanto ovviamente nulla è nella storia politica e sociale immediatamente già dato. Penso che l’Unione Europea da cinquanta anni a questa parte, soprattutto in questa fase, abbia rappresentato gli interessi unitari, dove per unitari s’intende che essa ha mediato, tra l’agricoltura e l’industria ecc., componendo gli interessi delle diverse borghesie nazionali. E vorrei citare un fatto a dimostrazione di questa affermazione. Negli ultimi anni, nell’ultimo decennio sicuramente, c’è stata una riorganizzazione delle filiere produttive con una nuova redistribuzione geografica delle produzioni. In questo processo la Germania, ovviamente, ha giocato il ruolo di capofila. Intorno al blocco industriale tedesco non si muove solo l’industria tedesca ma anche le industrie di tutti i paesi – chiamiamoli così – periferici. Si configura così un’area che va dall’Emilia Romagna alla Romania, dal Belgio a un pezzo della Francia che ruota intorno alla Germania.

I: un’alleanza strategica, dunque, tra le classi nazionali egemoni. Qual è il ruolo dei partiti politici europei? Socialisti e popolari sono alternativi, come ci vengono presentati, o due facce della stessa medaglia – poliziotto buono e poliziotto cattivo entrambi corrotti dal neoliberismo imperante?
FR: La risposta può essere tanto secca quanto semplice: nell’UE Partito Popolare e PSE governano insieme con forme di consociazione che si esprimono perfino nell’alternanza alla presidenza del PE. E la consociazione abbraccia anche il sindacato europeo, la CES e il Business Council (se ricordo bene la sigla della confindustria europea): nell’UE domina il cosiddetto ‘dialogo sociale”.

I: dal partito al sindacato: abbiamo avuto una prova evidente, con la vergognosa aggressione a Giorgio Cremaschi in CGIL, che neppure organizzazioni asseritamente di sinistra tollerano oggidì le voci critiche, l’anticapitalismo. Dobbiamo rassegnarci a sindacati uniformemente gialli?
FR: se oggi nella Unione Europea non ci sono quei conflitti di natura continentale che avrebbero dovuto accompagnare gli scioperi generali della Grecia, della Spagna e del Portogallo, ciò è dovuto alla presenza di un’organizzazione sindacale europea la CES (Confederazione Europea dei Sindacati), le cui organizzazioni afferenti hanno scientemente fatto in modo di mantenere la pace sociale in Europa. Nel nostro continente abbiamo bisogno di ricostruire un sindacalismo di classe a livello dell’Unione Europea. Un sindacalismo di classe che in questo momento non c’è, come non c’è nel nostro paese, perché la CES, in virtù dei famosi articoli, 152-156, 152 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, garante del cosiddetto dialogo sociale, ha sacrificato le condizioni di lavoro di milioni e milioni di persone per difendere il proprio status di soggetto contrattuale legittimato dai padroni e dall’UE. La stessa vicenda che si vive in Italia con CGIL-CISL-UIL. Che cosa facciamo per costruire un sindacalismo di classe e democratico nel nostro paese e in Europa? Che si possa fare è testimoniato, lo dico non per demagogia, da quanto è successo recentemente a Taranto con la strepitosa vittoria dell’Usb, dopo due anni di mobilitazioni intorno alle vicende dell’Ilva. Con questo non voglio dire che si stia già aprendo la via al sindacalismo nuovo nel nostro continente, quanto piuttosto che si pone la domanda fondamentale di un sindacalismo democratico e conflittuale in grado di contribuire alla formazione di un’organizzazione nuova a livello europeo.

I: partiti, sindacati “embedded”… ma chi comanda oggi in Europa? I governi, i tecnocrati della Commissione, le grandi lobby economico-finanziarie? Certo non il Parlamento, verrebbe da dire… ma chi conta di più, tra i governi e le istituzioni UE?
FR: il “dittatore benevolo”dell’UE è costituito da Consiglio Europeo, Commissione, ECOFIN, BCE. Sono poteri opachi e irresponsabili nei confronti dei cittadini, chiamati a rispondere solo ai mercati. Altrimenti come potrebbe il banchiere dei banchieri, Mario Draghi, dichiarare morto il modello sociale europeo e chiedere rigore economico e disciplina fiscale ai governi, che immediatamente obbediscono? siamo in presenza di un potere oligarchico nella Unione Europea dovuto alle nuove procedure che sono state sintetizzate nei famosi six-pack, two-pack e nel Fiscal compact che, al di là di questi nomi astrusi, sono semplicemente sette regolamenti, una direttiva e un trattato internazionale: essi hanno consentito di concentrare il potere decisionale sulle politiche pubbliche a Bruxelles. Basta seguire l’andamento dell’ultima legge di stabilità italiana in cui il governo italiano è stato costretto sulla base di queste procedure a inviare la legge di stabilità il 15 ottobre alla Commissione europea, la quale ha detto un nì alla legge stessa. Il governo ha di conseguenza annunciato privatizzazioni e spending review, nuove semplificazioni amministrative per ottenere un via libera dall’Eurogruppo, riunitosi il 22 di novembre, pur non concedendole molti spazi di manovra. Non vi è più il potere dei parlamenti, nazionale o europeo; essi non decidono le politiche fiscali che, ricordo sempre, sono sempre state alla base delle rivoluzioni borghesi. Le rivoluzioni borghesi hanno sottratto al re assoluto il potere decisionale su entrate e spese pubbliche, assegnandolo al parlamento, rappresentanza degli stakeholder, per usare una parola moderna, cioè la borghesia che paga le tasse ed è interessata allo sviluppo economico attraverso le misure fiscali. Ne segue che è più facile dimostrare la presenza in Europa di un’oligarchia piuttosto che una diversificazione o di un conflitto ai vertici. Inoltre non è vero che l’Europa oggi produca delle spinte progressive, non lo fa più in nessun campo. Nonostante gli interventi sulla parità uomo-donna, sull’orario di lavoro e sul tempo determinato, dove l’Europa è intervenuta per sostenere alcune richieste dei lavoratori, oggi non è più possibile sostenere che questo ruolo progressivo è attivo ancora. Oggi il mantra dell’UE è consolidamento fiscale, tagli alle spese pubbliche, riforme strutturali (flessibilità del lavoro, tagli alle pensioni sociali e innalzamento dell’età pensionabile). Non si assiste più a nessuna contraddizione fra mercato e Europa sociale. In due battute: who runs this country? Vi è una gerarchia, al cui vertice stanno i tecnocrati.

I: ci sono quelli (in Italia il PD, in primis) cui l’Europa dei trattati, dell’austerità e della sovranità limitata va benissimo: qualche volta criticano, ma è finzione scenica. Poi ci sono quelli che vorrebbero rompere con la UE e l’euro, ma per tornare agli Stati nazionali. E’ percorribile questa seconda strada, visto che la prima ci conduce sicuramente al baratro? Ti persuade, o pensi ce ne sia una terza?
FR: Non mi persuade affatto la proposta della fuoriuscita dall’Unione Europea, e spiego il perché: se fatta a livello di singolo paese, sarebbe semplicemente un’uscita ‘sovranista’. Io penso che sia molto giusto invece lavorare per rompere l’euro, per rompere l’Unione Europea, perché questo implica appunto un processo in cui deve essere coinvolta la classe operaia di tutti gli altri paesi; occorre coinvolgerla nel progetto di costruzione dell’altro sindacalismo e di una proposta politica sovranazionale. È per questa ragione che non mi pongo il problema, ed evito persino di discuterne, dei possibili danni provocati dall’uscita dall’euro, perché il punto è che se noi vogliamo rispondere alla globalizzazione, al potere globalizzato della borghesia, noi dobbiamo avere un progetto sovranazionale e, che parte con la prospettiva immediata di rompere l’Unione Europea per rompere l’euro.

I: a proposito di trattati, a cosa serve il Fiscal Compact, dove vogliono portarci?
FR: il Patto Fiscale è un trattato internazionale, che in parte supera Lisbona. Con il Patto Fiscale, oltre a delegare all’UE i poteri fiscali attraverso il controllo delle politiche di bilancio, si completa la costruzione di un ‘centro di governo’, come lo ha chiamato C.A. Ciampi: «I responsabili politici che decisero la costituzione della moneta unica erano consapevoli che il sistema avrebbe potuto operare correttamente solo se integrato con la creazione di un centro di governo della politica economica dell’Eurozona, con compiti di supervisione delle politiche di bilancio degli Stati membri, al fine di assicurare il rispetto dell’equilibrio dei rispettivi conti pubblici, presupposto per la crescita economica dei singoli Stati dell’Eurozona nel suo complesso». Con il Patto Fiscale il centro di governo ha trovato una più compiuta espressione perché ora in esso confluiscono sia le decisioni di politica monetaria sia quelle di politica fiscale. Questo centro di governo si articola in strutture formate da governi e da organi ‘tecnici’, come la BCE: un’oligarchia esercita il potere economico-fiscale nell’UE. Con il Patto Fiscale, un trattato internazionale, si giunge a manomettere le stesse Costituzioni. Si afferma all’art. 3, comma 2, che le regole del pareggio di bilancio: «devono avere effetto nelle leggi nazionali delle Parti contraenti al massimo entro un anno dall’entrata in vigore del Trattato attraverso previsioni con forza vincolante e di carattere permanente, preferibilmente costituzionale». L’ordine è stato prontamente eseguito: la modifica dell’articolo 81 è avvenuta a tempo di record. Il progetto dell’UE e dei governi è evidentemente quello di affidare la crescita alle politiche dell’offerta e alle ‘riforme di struttura’, volte a rendere più flessibili i fattori produttivi e ad aumentare la produttività.

I: abbiamo fatto un fuggevole cenno al Parlamento Europeo, ma giova parlarne, se non altro perché tra tre mesi votiamo per il suo rinnovo. Questa istituzione è quasi una foglia di fico, perché al di là di quello di censura – più teorico che pratico – i suoi poteri sono limitatissimi, in un quadro dominato da tecnocrazie a governi borghesi. Quale utilità effettiva può arrecarci, come cittadini-lavoratori, la partecipazione a questa competizione elettorale?
FR: non parlerei di foglia di fico. E’ un Parlamento che ha competenze effettivamente limitate, ma che comunque negli ultimi anni ha acquisito un potere di veto, negativo, può intervenire. In questa fase storica ha un senso una costruzione di sinistra purché metta in discussione i trattati, dica no, in modo che si apra una crisi in Europa. Bisogna elaborare una Costituzione europea, sulle orme di Spinelli nell’84, una Costituzione democratica da sottoporre al voto dei cittadini. In una situazione di crisi delle istituzioni, il Parlamento deve avere il coraggio politico di assumere un ruolo propulsivo, da protagonista.

I: una delle novità di questa consultazione europea è rappresentata dalla lista di sinistra cui Alexis Tsipras, leader di Syriza, ha prestato il suo nome. L’elemento più positivo è senz’altro la volontà di elaborare una proposta di livelli sovranazionale; si scorge però anche una certa dose di ingenuità, la convinzione di poter rinegoziare i trattati europei nel rispetto delle regole attuali, nonché di poter riportare sulla retta via un PSE che ha invece convintamente abbracciato la logica dell’austerity e dello smantellamento di welfare e diritti. Cosa ne pensa Franco Russo, qual è la posizione di Ross@?
FR: una lista che vuole “rinegoziare” parte già sconfitta, il problema è togliersi il cappio dal collo. Se andassi al governo chiederei la fuoriuscita dall’Unione, prevista dal Trattato di Lisbona: le discussioni sul deficit di democrazia sono insufficienti, potevano andar bene nel quadro di Lisbona, ma l’approvazione dei trattati di cui si è detto ha mutato la situazione. La rottura è l’unica risposta alla crisi. Finora le grandi battaglie dei greci sono state ininfluenti, perché dirette solo contro il governo nazionale. Avrebbero dovuto pretendere una nuova politica dalla BCE… siamo comunque nel campo del futuribile. Se vuoi distinguerti dalla destra devi mettere in discussione i trattati coinvolgendo tutti i popoli, tutti insieme.

I: in conclusione: Ross@ appoggia la Lista Tsipras, malgrado i suoi limiti (particolarmente evidenti in Italia, dove un pugno di intellettuali si sono messi a giocare alla rivoluzione)?
FR: non partecipiamo alla Lista Tsipras, ma non le facciamo la guerra. Non aderiamo, la loro visione è confusa: ad esempio, vedono il sindacato europeo come strumento di cambiamento, ma è complice.


I: grazie a Franco Russo per la sua disponibilità e… benvenuto a Trieste!


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