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martedì 5 novembre 2013

LA GERMANIA: UNA LOCOMOTIVA CHE NON TIRA PIU' di Riccardo Achilli





LA GERMANIA: UNA LOCOMOTIVA CHE NON TIRA PIU'
di Riccardo Achilli



Sono in pieno svolgimento le trattative per la formazione del Governo di coalizione Cdu/Csu/Spd in Germania. Il nucleo della trattativa è incentrato su questioni programmatiche interne, che la Spd ritiene fondamentali per convincere i propri militanti, che saranno consultati sul tema della partecipazione al governo del Paese.
Nel do ut des che si sta profilando, la Spd sembra propensa a lasciare i temi della politica europea all’esclusivo controllo della Merkel, e quindi di fatto ad una perfetta continuità con l’austerità in atto dal 2010 ad oggi, che nella visione tedesca corrisponde ad un interesse nazionale proprio.

I tre punti economici della trattativa considerati imprescindibili dai socialdemocratici tedeschi riguardano:
a) L’introduzione di un salario minimo legale pari a 8,5 euro all’ora. Oggi non esiste uno “SMIC” legalizzato i    in Germania, ma di fatto la paga oraria di un mini-job al minimo è di circa 4,8 euro all’ora, che rappresenta    il salario minimo “implicito”; 
b) l'aumento delle pensioni minime e la loro parificazione fra Est e Ovest
c) più fondi per l'assistenza di anziani e malati
 l’   Nell’insieme, il pacchetto proposto dalla Spd comporta una richiesta di circa 50,5 miliardi fra investimenti in scuole pubbliche, e spesa per voci sociali direttamente collegate alla domanda per consumi.
Mentre gli ultimi due punti di trattativa considerati imprescindibili sono ancora troppo generici per poterne misurare l’impatto, sul primo si è già stimato che coinvolgerebbe il 17% degli occupati attuali, che riceverebbero, in media, un incremento del 35% del loro salario. Gli argomenti della Cdu, che vorrebbe confinare tale aumento a specifici accordi contrattuali di settore ed aziendali, minacciando che potrebbe compromettere la competitività delle imprese tedesche, non sta in piedi. Se è vero che alcuni Paesi come Bulgaria e Romania hanno un salario minimo pari a 1 euro all’ora, o 2-2,5 euro all’ora, come nel caso della Polonia, della Repubblica Ceca e dell’Ungheria, un eventuale incentivo alla delocalizzazione di imprese tedesche incentivate dal basso costo del lavoro ci sarebbe comunque, anche con l’attuale situazione di salario minimo “implicito” pari a 4,8 euro all’ora.
Peraltro, l’esperienza francese dello SMIC dimostra che, laddove le imprese siano effettivamente vincolate ad una competizione sui costi, compensano i periodici “coups de pouce”, ovvero gli incrementi del reddito minimo verso l’alto, con una riduzione della scala degli aumenti salariali ai livelli contrattuali più alti, operando meno promozioni e negoziando con i sindacati scatti salariali, sui livelli superiori al minimo, meno congrui. Peraltro, devo dire purtroppo, sembrerebbe che la Spd voglia escludere dal salario minimo gli oltre 7 milioni di lavoratori tedeschi che lavorano con mini-job, sui quali si scarica di fatto la flessibilità verso il basso del salario.
Se integralmente accettate dalla Cdu, le richieste della Spd comporterebbero un incremento di 1,9 punti di PIL nel 2014 (per la precisione 1,866 punti, stimando una propensione marginale al consumo di 0,057) e di circa 2 punti della domanda interna di quel Paese. Ora, come è ovvio, la bilancia commerciale italiana è fortemente correlata all’andamento della domanda interna e del PIL tedesco, essendo la Germania il nostro principale partner commerciale, sia all’esportazione che all’importazione. In particolare, il saldo commerciale dell’Italia con la Germania (che computa quindi la differenza fra esportazioni ed importazioni verso/dalla Germania)ha, rispetto alla domanda interna tedesca, un indice di correlazione pari a 0,848, nel periodo fra 1992 e 2012 (ricordiamo che un indice di correlazione è significativo, indicando dipendenza statistica fra due variabili, se supera 0,5, ed è tanto più forte quanto più si avvicina al valore massimo, pari ad 1) [1].  L’indice è positivo, quindi evidenzia una correlazione diretta: tanto più aumenta la domanda interna tedesca, tanto più migliora il saldo di bilancia commerciale italiana, il che significa che l’impatto dell’aumento della domanda interna (e quindi del PIL) in Germania è più forte rispetto alle esportazioni italiane verso la Germania, che rispetto alle importazioni italiane dalla Germania.

Nello specifico, la relazione econometrica che, nel periodo 1992-2012, lega il saldo di bilancia commerciale italiano complessivo (variabile denominata BILCOM) e interscambio commerciale specifico con la Germania all’export (variabile EXPORT) ed all’import (variabile IMPORT) è di questo genere (fra parentesi il valore dei test di Student):
BILCOM = 37,448 EXPORT – 25,935 IMPORT
                   (5,2)             (-4,9)
Da considerare come l’Rsquared sia pari a 0,53, per cui di fatto l’interscambio con la sola Germania spiega più della metà della variabilità del saldo commerciale complessivo italiano nei vent’anni in esame. Le esportazioni verso la Germania tendono ad avere un effetto positivo sulla bilancia commerciale totale, mentre le importazioni dalla Germania, ovviamente, la peggiorano, ed hanno quindi segno negativo. Dopodiché, sul medesimo periodo, la relazione econometrica fra andamento della domanda interna tedesca  (DOMINTGER) e saldo commerciale italo/tedesco è la seguente:
EXPORT = 0,94 DOMINTER
                  (3,1)
IMPORT = 1,1165 DOMINTER
                   (2,8)
In sintesi, l’incremento di domanda interna in Germania pari a due punti, come proposto dal programma dei socialdemocratici, dovrebbe generare un miglioramento complessivo pari a circa 10 punti del saldo di bilancia commerciale complessivo italiano (2 x0,94 x 37,448 – 2 x 1,1165 x 25,935)per circa1,1 miliardi.  L’effetto incrementale sul PIL italiano dovrebbe essere pari solamente a circa 0,2 punti aggiuntivi.
Si tratta indubbiamente di un effetto-locomotiva, tipico dei Paesi economicamente egemoni, ma un effetto di piccola entità, in termini di impatto sulla nostra economia domestica, limitato a due decimali di PIL. Il relativamente modesto impatto dipende dalla nostra declinante competitività commerciale con la Germania, considerando che l’export verso la Germania è cresciuto al tasso medio annuo del 4,6%dal 1992 al 2002, scendendo all’1,1% fra 2003 e 2012. Da questo punto di vista, quindi, la fine della oscillazione della lira (che dopo la crisi del 1992 poteva, nell’ambito dello SME, svalutare fino al 15%, quindi usare ancora una quota rilevante di svalutazione competitiva per penetrare nel mercato tedesco) con l’avvento dell’euro è stata un evento che ha ridotto notevolmente la correlazione fra andamento della domanda interna tedesca e saldi commerciali delle economie più fragili, come la nostra. La fine delle svalutazioni competitive ha infatti “isolato”, in un certo senso protetto, il mercato interno tedesco dai suoi concorrenti euromediterranei a valuta debole.
Il versante negativo della bilancia è che tale isolamento impedisce, oggi, alla Germania, di esercitare un effetto di traino significativo sui suoi partner euromediterranei nel momento in cui vara un pacchetto di stimolo alla domanda aggregata interna. Supponendo la permanenza nell’euro,il rimedio di politica economica, per l’Italia, è piuttosto semplice. O riproduce gli effetti della svalutazione del tasso di cambio con una pesante deflazione interna dei costi, ovvero con la prosecuzione, per certi versi l’aggravamento, della macelleria sociale, oppure esercita un’azione di politica estera e commerciale a sostegno di una radicale riconversione delle destinazioni delle sue esportazioni, riducendo la quota destinata all’area “forte” del centro-nord Europa, ed orientandola verso le economie BRICS. Ancora una volta, la nostra classe politica è in forte ritardo. Mentre la Merkel vola a Pechino per stipulare trattati commerciali omnicomprensivi e di grande impatto con i cinesi, anche forzando l’Europa a rilasciare le barriere all’importazioni dei prodotti cinesi ricompresi negli accordi, e la Cina costituisce il quinto mercato di sbocco dell’export tedesco (con Russia, Turchia e Brasile fra i primi venti), l’Italia ha la Russia come sesto mercato di sbocco, e la Cina soltanto al nono posto. La Turchia è ben posizionata, ma il resto dei BRICS è assente dai primi quindici posti. La Germania, che non esercita più un effetto-locomotiva significativo sulla nostra economia, è ancora il più importante mercato di sbocco del nostro export.
Serve una politica commerciale aggressiva, un sistema di accompagnamento e promozione dell’export lungimirante, accompagnato da una politica estera autorevole. Però noi preferiamo continuare a concentrare tutta la nostra attenzione sui fatti giudiziari di un senatore inquisito e su una politica estera succube, priva di autonomia.





[1] Sono state usate le serie Eurostat riferite al periodo 1992-2012 per le due variabili. 


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