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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 1 luglio 2013

PRETESTI E SENTENZE di Norberto Fragiacomo




PRETESTI E SENTENZE
di
Norberto Fragiacomo


Il destino, quand’è di buon umore, dà prova di una certa arguzia, e sa prenderci amabilmente in giro.
In una domenica inondata di sole ho accompagnato un gruppo davvero multinazionale (c’erano tedeschi, francesi, inglesi, asiatici) alla scoperta di Trieste – solo a tour terminato avrei appreso che una buona metà degli ospiti lavorava per la Commissione Europea. Certo, avrei potuto intuirlo da alcuni indizi, ma… ero troppo impegnato a trovare le parole “giuste” in inglese. Un’annotazione preliminare: si trattava di persone di eccellente cultura, interessate e partecipi.

C’era, in particolare, una signora tedesca di mezza età, che sembrava sapere di tutto – mi ha chiesto persino del territorio libero – e si è emozionata quando ho narrato la triste fine di Winckelmann, in una squallida locanda di piazza grande. Alla fine – visto che durante la camminata avevo espresso qualche rilievo critico sulla UE – proprio lei mi ha chiesto cosa pensassi dell’attuale stato di cose. Le ho detto che, a parer mio, la crisi è artificiale, e la situazione sta incancrenendosi; che, da ultimo, anche la Germania pagherà dazio ai “mercanti”. Quell’intelligente e preparata signora mostrava di non condividere la mia analisi: la crisi è reale, ha affermato, perché abbiamo sprecato troppe risorse negli anni (“abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, insomma) e perché i Paesi del sud, minati dalla corruzione interna, non hanno saputo competere, si sono trasformati nella zavorra d’Europa – dopo aver visto azzerarsi la loro industria manifatturiera, ho ribattuto al volo.

Un punto di vista tedeschissimo e molto UE, che in fondo non sorprende (ciò che stupisce in positivo l’italiano, abituato a nepotismi e demeritocrazia capillare, è che le istituzioni continentali selezionino ancora i migliori… in Germania e dintorni è scontato, cari connazionali), ma che ritengo profondamente errato, oltre che pericoloso. “Finché Bruxelles distribuiva risorse c’era entusiasmo verso l’Europa, e adesso…” Ho concluso io la sua frase: “quell’entusiasmo sta mutandosi in odio, hatred, odio fra nazioni che pure hanno storia e tradizioni comuni”, e non ho mancato di aggiungere che, a dispetto di spread e catastrofismi, il mondo non è mai stato così ricco.
Ricco di risorse, di prodotti, di beni e servizi moltiplicati da una tecnologia che negli ultimi 150 anni ha corso alla cieca, ma ad una velocità vertiginosa… una tecnologia in continua evoluzione, limitata nei suoi effetti positivi dalla mordacchia capitalista. Ricordo di essermi indignato, ancora bimbo, per la distruzione, in Europa, di migliaia di tonnellate di pomodori e frutta sacrificate a sua maestà il Prezzo: mi pareva un’insensatezza, quel cibo avrebbe potuto sfamare un numero ingente di persone, nel sud del mondo. Era ed è un’insensatezza, ma il capitalismo non può comportarsi altrimenti, poiché persegue interessi individuali, di nicchia, non quello collettivo: nel modello vigente gli esseri umani sono trattati come lavoratori da spremere o consumatori da buggerare, mai come cittadini. Se l’uomo è angelo e bestia insieme, il mercato si cura solo della seconda. Il Capitale è questo, non può essere altro, a meno che una forza esterna non sia capace di “ammorbidire” le sue leggi (accadde nel dopoguerra, quell’epoca è finita per sempre).
In ogni angolo del mondo, oggi, uomini e donne potrebbero vivere decentemente, avere garantiti pranzo e cena, tempo libero, assistenza sanitaria e cultura; se ciò non avviene è colpa (o merito, secondo i beneficiari) di un sistema basato su ignoranza, sfruttamento e iniquità.
Un coscienzioso funzionario europeo facilmente non si accorge di tutto questo, perché è stato addestrato a soffermarsi sul particolare: la corruzione, il PIL che smette di salire. La corruzione esiste, altroché – ma non è una novità, e con il welfare e le pensioni non c’entra niente. E’ endemica: chiedere a Leopardi, Manzoni, Guicciardini, vissuti in epoche lontane. Quanto a PIL, spread e teoremi economici sono nient’altro che arredi liturgici, strumenti per arrivare a un fine. La crescita in Europa si è interrotta, e allora? Il girino perde la coda, ma si ingrandisce rapidamente per diventare rana: alla rana però non è concesso raggiungere le dimensioni del bue. Boom, scoppia – come nell’antica fiaba. Il boom, appunto, è possibile solo in una fase giovanile della vita economica delle nazioni (dopo una guerra tremenda, ad esempio); poi tocca mantenersi in forma, perfezionare l’esistente, migliorarsi. Ma le fedi, lo sappiamo, prescindono dall’esperienza e dall’ovvio.

Ho usato, con la visitatrice, la parola “pretext”, pretesto: corruzione, inefficienza, debito pubblico sono pretesti, scuse. Se voglio punire un mio simile, e ho i mezzi per farlo, non faticherò molto a trovare un idoneo capo di accusa: ogni esistenza – individuale o collettiva – è macchiata da colpe più o meno gravi. Nessuno è innocente, ma la mancanza che più spesso viene sanzionata è la debolezza. A pagare il conto del presunto “scialo” non vengono chiamati quelli che stanno in alto e, potendo prendere decisioni, sono in larga misura responsabili della situazione attuale, bensì gli ultimi, gli impotenti, i sudditi. La ricevuta è per chi, sotto il tavolo, si è saziato con le briciole del banchetto: magari avrà dato un calcio al vicino, non meno misero di lui, ma l’aragosta l’ha vista da lontano.
Il debito pubblico, questo moloch acquattato – pure lui – nell’ombra: ci è stato insegnato ad averne terrore, ma i suoi denti sono di cartapesta. Abbiamo un reddito annuo di sedicimila euro e un debito, spalmato negli anni, di ventimila, le cui rate abbiamo sempre pagato: davvero siamo sull’orlo della bancarotta? Pare di no, visto che il cittadino medio si trova nella medesima situazione: malgrado i mutui fatti per acquistare casa e macchina, se ha un comune lavoro impiegatizio riesce a tirare avanti. Gli italiani, poi (ma anche i greci, gli spagnoli e i portoghesi), vivono in un castello, che vale cento o mille volte il rispettivo debito pubblico: vi siete mai chiesti quanto potrebbero “fruttare”, a valori di mercato (è una provocazione, la mia!), tutte le opere d’arte racchiuse nei nostri musei e pinacoteche, o anche solo i quadri firmati da Caravaggio? L’Italia è favolosamente ricca (e potrebbe vivere, agiatamente, di turismo), ma questo dato non interessa, non è funzionale a statistiche che, dietro l’apparente oggettività, nascondono precisi disegni ideologici.

Ecco, la situazione è la seguente: c’è un debitore affidabile, anche se un po’ arruffone, con un palazzo di proprietà, campi e boschi. Il creditore ha messo gli occhi su edificio e pertinenze – allora inizia a pressare l’obbligato, lo costringe a saltare i pasti, non lo fa dormire la notte. Il debitore si ammala, guadagna di meno (=diminuzione del PIL) e scivola in una depressione senza uscita: facile che alla fine perda tutto. Il problema è che la conclusione non era necessitata: è stata voluta.
Da chi? Da chi è capace in pochi istanti di muovere miliardi e miliardi di dollari/euro, da chi ha interesse a cancellare le Costituzioni “socialiste” e a liberalizzare tutto – perché la libertà assoluta è signoria (altrettanto assoluta) del più forte.
Anche la Germania collasserà, ho detto tranquillamente alla signora, insieme ai moralisti del Nord, che finora han tratto profitto dalla crisi.
Ci rivedremo tra dieci anni – ha replicato sorridendo – allora sapremo la verità.
Spero di esserci ancora tra dieci anni, ho pensato. Quel che è sicuro è che l’Italia e l’Europa (i loro popoli, intendo) non hanno tutto questo tempo.





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