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giovedì 9 maggio 2013

Riflettendo di riforme elettorali, di Riccardo Achilli



Il cosiddetto Mattarellum, tanto vituperato e criticato ai suoi tempi non era invece, nel suo complesso, una legge elettorale poi così malvagia. Non solo perché si confronta con l’orrido Porcellum, ma perché teneva insieme l’esigenza di scelta personale del rappresentante politico da parte di ogni cittadino (con la quota maggioritaria) e quella di formare coalizioni prima del voto (rese necessarie dall'esigenza di vincere nei collegi uninominali) recuperando, per altro verso, capacità di influenza politica a favore dei piccoli partiti con la quota proporzionale, rafforzata dal meccanismo dello scorporo dei voti presi nella parte uninominale.
Aveva alcuni difetti strutturali, il principale dei quali era la possibilità di eludere lo scorporo, e penalizzare i piccoli partiti nel proporzionale, tramite le liste-civetta. Ma era un problema di facile soluzione normativa e tecnica: sarebbe bastato prevedere lo scorporo non a livello di singola lista di partito, ma a livello di coalizione, spalmando la riduzione in forma inversamente proporzionale al numero di voti di ogni lista della coalizione stessa; oppure, molto più semplicemente, sarebbe bastato abolire la soglia di sbarramento del 4% (le liste-civetta, per non influenzare il voto, dovevano ovviamente essere liste sotto il 4%), anche perché la soglia di sbarramento era una vera e propria ipocrisia, in una legge elettorale che consentiva mille rivoli affinché anche micro-formazioni politiche di scala locale potessero avere una influenza sui programmi dei singoli candidati e delle coalizioni.
La grande questione sollevata, in quegli anni, dai detrattori del Mattarellum, ovvero che tale sistema elettorale finisse per favorire il potere di veto dei piccoli partiti dentro le coalizioni, è a mio avviso una non-questione. Nelle tre tornate politiche in cui fu applicato, il Mattarellum restituì per due volte maggioranze politiche composite, litigiose, frazionate, ma comunque in grado di gestire l’intera legislatura fino alla fine, ed anche in grado di fare cose che oggi sembrano incredibili, come ad esempio la riforma completa di un intero titolo della Costituzione (il Titolo V, riformato dal Governo D’Alema) o, per l’appunto, una nuova legge elettorale completamente diversa. Oggi che un Parlamento possa realizzare riforme di questo tipo sembra quasi essere un racconto di fantascienza. E un’influenza indebita dei micro-partiti, per esempio di micro-formazioni localistiche, avrebbe facilmente potuto essere ridotta:
  1. applicando, nella quota maggioritaria, sistemi a doppio turno, anziché a turno unico;
  2. rafforzando i vincoli di coalizione tramite l’obbligo di presentazione del programma di coalizione, cui i singoli candidati della parte maggioritaria debbono aderire;
  3. prevedendo l’obbligo di elezioni anticipate, qualora si verificassero fuoriuscite di partiti o singoli esponenti dalla coalizione di governo, di entità tale da farle perdere la maggioranza parlamentare. Evitando il teatrino antidemocratico del nostro Paese, in cui si sfascia una coalizione ed un Presidente della Repubblica, su suo insindacabile e personalissimo giudizio, fabbrica in vitro una nuova coalizione trasversale, invalidando la volontà degli elettori uscita dalle urne. In questo caso, il piccolo partito che, scartellizzando, portasse il Paese ad elezioni anticipate, vedrebbe ricadere su di sé una responsabilità molto pesante, con la connessa necessità di spiegare la sua scelta agli elettori. E probabilmente, ci penserebbe due volte prima di farlo.
Il difetto ineliminabile era la complessità, la farraginosità di questa legge, che finì per essere battezzata “Minotauro”. Questo è un problema serio, di trasparenza democratica. Non si può pensare di affidare la rappresentazione parlamentare del voto dei cittadini ad un meccanismo che è comprensibile solo ad un esperto di matematica. Il cittadino deve essere messo in condizione di risalire facilmente dal suo voto agli esiti finali del processo elettorale. Ma in fondo questo difetto di trasparenza era “compensato” dalla possibilità di eleggere direttamente il 75% dei parlamentari.
Personalmente, sostengo da sempre una legge elettorale analoga a quella dell’Uruguay di qualche anno fa, ovvero un sistema elettorale proporzionale, senza soglie di sbarramento né premi di maggioranza (elementi concettualmente antagonisti rispetto al principio proporzionale) caratterizzato dal doppio voto simultaneo: uno per la coalizione, che ha l’obbligo di presentare il programma, ed uno per il singolo partito all’interno della coalizione. Un simile sistema consente di stabilizzare il quadro politico, perché rende indispensabile aderire a una coalizione se si vuole avere delle chance di partecipare al futuro governo, e consente la massima e la più fedele rappresentatività del voto nel successivo Parlamento. Ovviamente, espedienti come l’obbligo di tornare ad elezioni anticipate qualora la coalizione di governo perdesse la maggioranza, andrebbero previsti, al fine di ridurre la ricattabilità dei partiti più piccoli, riconducendola a motivi politici reali, spiegabili agli elettori in fase di ritorno alle urne. Al limite, si potrebbe anche prevedere la possibilità, per il capo dello Stato, di provare ad evitare il ritorno alle urne soltanto in situazioni specifiche di estrema gravità e rilevanza, tassativamente elencate (ad es., se il Paese è in guerra, o se è in atto un attacco speculativo di particolare gravità sulla valuta, sul debito pubblico o sull'economia). Infine, sempre al limite, si potrebbe anche prevedere un mini-premio di maggioranza, a favore della coalizione arrivata prima, molto ridotto e tale da non distorcere significativamente la fotografia del voto (indicativamente, un premio fisso di 32 senatori e 64 deputati, che scatterebbe solo se una coalizione arrivasse al 40%, consentendole di arrivare al 50% + 1). Certamente è improponibile che, come avviene oggi con il Porcellum, chi ha preso il 30% possa arrivare al 55%. Nel caso in cui nessuna coalizione dovesse raggiungere da sola la maggioranza assoluta in Parlamento, il capo dello Stato affiderebbe il compito di tentare un accordo di governo con gli altri gruppi parlamentari ad un esponente di sua scelta della coalizione arrivata prima, poi, in caso di fallimento di tale tentativo, ad un esponente della coalizione arrivata seconda, poi ad uno della terza, ed infine, in caso di triplice fallimento, si tornerebbe a votare. Come in Grecia, e senza patemi d’animo particolari.
Ma tutto ciò implicherebbe la capacità dell’attuale legislatura di fare una riforma elettorale completa e coerente, il che è impensabile. La sentenza di ieri nel processo Mediaset si consente di pensare ad un orizzonte temporale di sopravvivenza dell'attuale legislatura di circa 9 mesi-un anno. Il tempo di arrivare alla sentenza della Cassazione. Dopodiché, quale che sarà l'esito di tale sentenza, gli effetti politici saranno devastanti: se Berlusconi fosse condannato definitivamente, il governo Letta cadrebbe per “sudden death” di uno dei suoi due contraenti fondamentali. Se Berlusconi fosse assolto, avrebbe tutto l'interesse a far cadere l'esecutivo, ed a tornare ad elezioni anticipate, mondato dalle sue condanne giudiziarie, incassando il dividendo elettorale della “responsabilità istituzionale” di aver sostenuto un Governo di larghe intese (che nel frattempo avrebbe realizzato una buona parte del programma politico del PDL, ad iniziare dal superamento dell'IMU sulla prima casa, lavorando perciò a favore dell'immagine elettorale del centro destra). Il PD appare, del resto, assolutamente incapace di recuperare iniziativa politica e guidare la legislatura. Per ciò stesso, ragionare di riforma elettorale in un contesto simile appare un esercizio da marziani.
L’unica cosa che è possibile fare (e che peraltro Grillo appoggerebbe, almeno stando alle sue dichiarazioni) è una norma abrogativa del Porcellum, che ci faccia tornare al non pessimo Mattarellum. E magari introdurre al Mattarellum ripristinato alcune piccole modifiche, come quelle da me segnalate (abrogazione della soglia di sbarramento del 4%, introduzione del doppio turno nella parte maggioritaria, introduzione dell’obbligo di presentare il programma di coalizione prima del voto). Ciò che assolutamente va evitato è il ritorno al voto con l’attuale legge elettorale. Non tanto e non solo perché è una legge elettorale pensata per due poli, e che non funziona bene quando i poli sono tre. Ma semplicemente perché è incompatibile con un bicameralismo perfetto, in cui il voto del Senato è fortemente regionalizzato, senza però che il Senato abbia competenze limitate soltanto sulle materie concorrenti fra Stato e Regioni, e perché la giungla di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza prevista da tale legge crea semplicemente il distacco assoluto, in termini di rappresentanza, fra chi sta in Parlamento ed il Paese reale. Il problema del Porcellum non è tanto che non fornisce “governabilità” al sistema (non può essere una legge elettorale a rendere governabile il sistema, ma il voto dei cittadini; una legge elettorale di governabilità è semplicemente un concetto antidemocratico) ma che distorce completamente la rappresentazione parlamentare del voto, il che poi consente di effettuare operazioni di fabbricazione di governi e coalizioni diversi da quelli espressi dal voto popolare.  

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