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martedì 9 aprile 2013

L'OTTIMISMO DELLA VOLONTA' di Renato Costanzo Gatti






L'OTTIMISMO DELLA VOLONTA'
di Renato Costanzo Gatti


Il bellissimo, argomentato, sofferto articolo di Riccardo sulle prospettive dell’euro, ha suscitato in me alcune riflessioni che vorrei estendere all’autore.(Un piano B per il dopo Euro di Riccardo Achilli) La prenderò un po’ alla larga.
Capitalismo e democrazia
Nel suo saggio “Ripensando il capitalismo”, Salvatore Biasco esamina le ragioni e la dialettica del compromesso, storicamente determinato, tra capitalismo e democrazia. La sua impostazione vede nel capitalismo il soggetto che crea ricchezza, che ragiona con logica economica producendo una gerarchia e un assetto di potere che configge oggettivamente con la democrazia. Vede invece nella democrazia (e si intende, naturalmente, la democrazia economica), il soggetto che persegue una certa redistribuzione del reddito che persegua un certo livello di eguaglianza nel livello dei redditi, ma anche nei diritti e (art. 3 della nostra costituzione) perseguendo la partecipazione dei produttori di lavoro.

Semplificando il capitalismo produce la torta, la socialdemocrazia (e qui ho fatto una forzatura traducendo democrazia economica in socialdemocrazia) si occupa della spartizione della torta stessa. Il capitalismo non può eccedere più di tanto nella sua oligarchia governante (vorrei usare un termine odioso: plutocrazia) senza scontrarsi contro la resistenza delle forze democratiche; la redistribuzione democratica non può eccedere nelle sue istanza egualitaristiche senza intaccare la logica di accumulazione privata o la demotivino.
Tra le istanze “democratiche” che tendevano a superare questo limite e che quindi sono abortite, Salvatore Biasco ricorda il piano Meidner, la riforma finanziaria di Obama, le 35 ore francesi, la patrimoniale incorporato nel 1946 nel cambio della moneta e il tentativo di Fiorentino Sullo di combattere la rendita fondiario con il diritto di superficie.
Questo paragrafo mi serve per riflettere sulla bipartizione della dialettica capitalismo/democrazia economica, che sta riscontrando, negli anni in cui stiamo vivendo, una pesantissima egemonia del capitalismo sulla democrazia che sposta l’equilibrio verso i limiti, pur non matematicamente definiti, della sopportabilità democratica. Mi piace chiedermi fino a che punto potrà continuare il trend di aumento progressivo dell’indice Gini, e quale sia il suo limite invalicabile (?).
La riflessione consiste nel fatto che è riduttivo confinare la socialdemocrazia nell’area della redistribuzione, quasi che la socialdemocrazia non avesse da proporre in campo economico soluzioni che trovino una sintesi di livello superiore a quello che ci possa offrire il capitalismo. In termini filosofici la razionalità scientifica del socialismo può affrontare temi e problemi che il meccanicismo del mercato è incapace di risolvere.
Per esempio il CERN
Quando mai l’autoequilibrante meccanismo del mercato potrebbe mai affrontare un progetto come quello portato avanti dal CERN? Mi spiego, nessuna somma di privati interessi individuali potrà mai essere in grado di farsi carico di un progetto (che forse in un concetto ristretto di economia parrebbe estraneo) che richiede un coordinamento di forze, di mezzi, di intelligenze di portata inimmaginabile. Non si tratta di fare meglio o fare a costi minori lo stesso prodotto, si tratta invece di un diverso campo di esistenza in cui possono operare il capitalismo e il socialismo. Ne sia sintomo derivante il fatto che le scoperte del CERN sono open source a disposizione della comunità scientifica e non sono oggetto di brevettabilità (vi immaginate se il CERN brevettasse il bosone di Higgs?).
Facendo un altro esempio di progetti insolubili nel campo di esistenza del capitalismo ma compatibili con i parametri del socialismo, vorrei ricordare il New Deal roosveltiano, la Tennessee Valley Authority e la politica perseguita dagli USA per uscire dalla crisi del ’29 (ricordo che l’aliquota marginale di imposizione sui reddti fu fissata nel 94% durante la guerra, quando Roosevelt affermava che nessuno si doveva arricchire a causa di essa, e che l’aliquota fu mantenuta a quel livello per molti anni dopo la guerra).
Vorrei quindi concludere questo paragrafo ricordando che lo strumento razionale del socialismo che permette di agire in un campo di esistenza diverso da quello del capitalismo è la programmazione, prassi sperimentata nei primi anni del centro sinistra, ma completamente emarginato dalla crescente e dominante cultura capitalista odierna.
L’ottimismo della volontà
Sempre semplificando, la diagnosi sulla malattia dell’euro, consiste, e in questo mi rifaccio alle tesi di Bagnai, nel fatto che si è costruito prima l’euro nella speranza o illusione, che la moneta unica avrebbe portato (come?) al superamento delle asimmetrie nei fattori reali dei vari paesi. Questa strada si sta dimostrando contraddittoria e bene ha fatto Riccardo a prospettarci un piano B per il problema euro.
Quello che l’ottimismo della volontà deve suggerirci è di pensare ad un piano A nella sospirata vittoria delle sinistre, dei partiti socialisti in Europa.
Un piano che, a mio parere, deve proporsi di convivere con l’euro vigente, ma deve lavorare programmaticamente per far convergere tutti quei parametri dell’economia reale che sono alla base di un’area valutariamente ottimale.
In questo compito, inviterei Riccardo ad uscire dalla subalternità al monetarsimo imperante, ma di cavalcare l’ottimismo degli strumenti del socialismo: un organismo programmatorio centrale che disegna un cammino per l’eliminazione delle asimmetrie tra i vari paesi.
Penso ad esempio ad imprese pubbliche federali che si dislochino nei vari paesi dove più è necessario un rilancio di assunzione del rischio imprenditoriale per colmare il deficit della bilancia commerciale; lo stesso vale per la convergenza dei parametri fondamentali che va perseguita volontariamente con una programmazione scientifica e non lasciata ad un ormai non più credibile capacità del mercato di raggiungere quel risultato. 

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