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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 9 aprile 2012

I fatti del Mali: alcune prime evidenze




di Riccardo Achilli


Sebbene gli eventi del Mali di queste ultime settimane siano ancora avvolti da molta nebbia, e quindi sia impossibile fare un'analisi approfondita, alcuni elementi di evidenza stanno emergendo, ed in qualche misura sono paradigmatici della piega che gli eventi stanno prendendo, nell'Africa sahariana, dopo che la fase più intensa dei sommovimenti della Primavera Araba nel Maghreb sembra essersi esaurita.
Appare intanto evidente che la destabilizzazione del Mali è il diretto frutto della guerra civile libica, una guerra civile alimentata, sostenuta ed utilizzata come alibi per mettere le mani sulle risorse petrolifere di quel Paese da parte di Gran Bretagna, Francia e USA, al fine di sostituire con un imperialismo forte l'imperialismo debole dell'Italia, che in luogo delle bombe all'uranio impoverito usava gli intrecci affaristici fra Berlusconi e Gheddafi per cementare il suo potere. Per essere chiari: la storia del ribellismo tuareg, e più in generale dei popoli berberi, è antica tanto quanto quei popoli stessi; già Massinissa si ribellò ai cartaginesi, e il suo discendente Giugurta lo fece con i romani. Nel Mali indipendente, quindi dal 1960 in poi, con la rivolta scoppiata a Gennaio di quest'anno siamo arrivati alla quarta sollevazione. Tuttavia, a differenza delle rivolte passate, che sono state sistematicamente sconfitte, quest'ultima sembra aver avuto successo, con il nord del Paese che è oramai de facto in mano agli indipendentisti tuareg, che hanno già dichiarato unilateralmente la nascita del loro nuovo Stato (personalmente simpatizzo molto con le istanze indipendentistiche dei tuareg, peraltro).
Un fattore importante di tale vittoria è proprio collegato con la fine della Jamahiriyah. Gheddafi aveva infatti svolto un ruolo importantissimo di arbitro della stabilità del Mali. Nel caso della rivolta del 2007-2009, come in quelle precedenti, aveva di fatto gestito tutta la fase negoziale che portò al cessate-il-fuoco, ed al contempo, per controbilanciare la delusione dei tuareg, aveva ospitato nel suo Paese migliaia di guerriglieri indipendentisti, nella maggior parte dei casi arruolandoli nell'Esercito libico, e nutrendoli con l'illusione di un futuro Stato del Sahara indipendente. L'interesse di Gheddafi era evidente: i tuareg, nella loro vita di migranti, si spostano anche nella Libia meridionale, per cui ogni iniziativa diplomatica tesa ad evitare la formazione di uno Stato tuareg indipendente, ed al contempo a far credere ai tuareg che il regime libico era loro amico, serviva a tutelare la stessa integrità territoriale della Libia.
Con la guerra civile in Libia e la fine di Gheddafi, nessuno è più in grado di svolgere un ruolo di mediazione su scala regionale. Inoltre, migliaia di tuareg che avevano combattuto nell'Esercito lealista libico, con la sconfitta di Gheddafi, sono fuggiti dalla Libia, immersa da mesi nel bagno di sangue della “caccia al negro” e dalla caccia all'amico di Gheddafi” scatenata dal CNT. Sono fuggiti portandosi dietro addestramento militare ed armi, anche pesanti, dagli arsenali libici, divenendo quindi pericolosissimi per lo scalcinato Esercito governativo del Mali.
E' quindi evidente che le potenze occidentali che hanno voluto far cadere Gheddafi si trovano oggi, un po' come i tradizionali apprendisti stregoni, a dover gestire la patata bollente della secessione tuareg nel Mali del Nord, che rischia di avere effetti destabilizzanti su tutta l'area. Infatti, istanze indipendentistiche, a volte anche organizzate militarmente, sono presenti in tutta l'area in cui vivono popolazioni tuareg, quindi anche in Niger (Paese peraltro fondamentale per le sue riserve di uranio e petrolio, e dove è già in atto da anni una guerriglia tuareg di bassa intensità), in Libia, in Algeria ed in Ciad. Poiché i tuareg sono di etnia berbera, i richiami etnici e storici rischiano di dare un ulteriore incentivo ed un supporto politico, morale (ed anche in qualche caso militare) anche all'indipendentismo berbero in altre aree (Dal Polisario in Sahara Occidentale agli indipendentisti cabili in Algeria).
In sostanza, il successo della rivolta tuareg nel Mali del Nord rischia di far esplodere tutta l'Africa nord occidentale, con conseguenze imprevedibili, anche in termini di crescita dell'islamismo fondamentalista. Le reazioni dei Paesi occidentali “democratici”, che in teoria dovrebbero avere a cuore l'autodeterminazione dei popoli, sono infatti tutte negative, ad iniziare dalla Francia, che esercita ancora un controllo postcoloniale importante in tale area. Il Ministro degli Esteri Juppé dichiara infatti che “ci sono due opposte fazioni fra i tuareg. L'MNLA vuole l'indipendenza dell'Azawad, il che è per noi inaccettabile, perché siamo impegnati a mantenere l'integrità territoriale del Mali. Poi c'è un'altra fazione, Ansar Dine, che è legata strettamente con Al Qaeda nel Maghreb islamico”. Questa seconda affermazione di Juppé è peraltro indimostrata, anche se la correlazione fra Ansar Dine ed Al Qaeda viene da questi venduta, per ovvi motivi strumentali, come un fatto certo. La campagna di diffamazione dei mass media francesi nei riguardi dell'indipendentismo tuareg è così violenta che Andy Morgan, del Think Africa Press, ha accusato Agence France-Press di aver rilanciato acriticamente, e senza alcuna verifica, il ritratto fatto dal Governo del Mali dei ribelli, accusati di essere “predoni”, “trafficanti di droga”, “mercenari di Gheddafi”. Senza uno straccio di prova, la stampa francese ha infatti rilanciato l'accusa rivolta all'MNLA da parte dell'ex Presidente maliano Toumani Touré, di aver ucciso a sangue freddo, ad Aguelhok, uomini disarmati appartenenti all’Esercito del Mali. Tra l'altro, tale indimostrato episodio costituirebbe la prova, secondo la Francia, di un’alleanza dell’MNLA con AQMI. Infatti, si sostiene che, siccome gli uomini sono stati legati e uccisi con un colpo di pistola alla nuca, e che AQMI uccide in questo modo i suoi prigionieri, allora l'MNLA è alleato di AQMI. L'infantilismo e l'insussistenza di un simile ragionamento non valgono la pena di essere commentati. Tra l'altro, il massacro di civili inermi del Nord condotto dall'Aeronautica governativa il 23 Febbraio, documentato da testimonianze indipendenti da parte del personale di Médecins Sans Frontières, non ha ricevuto alcuna attenzione mediatica: guai a mettere in difficoltà l'amico Toumani Touré.
Soltanto l'imminenza delle elezioni presidenziali suggerisce a Sarkozy prudenza, ed impedisce un intervento militare francese, sul modello di quelli fatti nel 2008 in Ciad e nel 2011 in Costa d'Avorio, per soffocare l'indipendentismo tuareg. Il tentativo di soffocare il diritto all'indipendenza dei tuareg viene così condotto con mezzi politico-diplomatici: l'ECOWAS (la comunità degli Stati dell'Africa Occidentale), una creatura dei francesi (il primo presidente di tale organizzazione fu il dittatore del Togo, Eyadéma, ex ufficiale della Legione Straniera, amico personale di De Gaulle, che prese il potere nel suo Paese spodestando ed uccidendo personalmente l'ex Presidente Olympio, che aveva guidato il processo di indipendenza) ha infatti subito emanato un comunicato molto duro, in cui sostiene nuovamente il presunto legame fra i ribelli tuareg ed Al Qaeda, chiede che l'integrità territoriale del Mali sia garantita, e chiede ai ribelli stessi di cessare immediatamente ogni ostilità. A dimostrazione della totale organicità dell'ECOWAS alla politica neocoloniale francese, l'ambasciatore francese presso l'ONU, Gérard Araud, ha immediatamente chiesto che il Consiglio di Sicurezza adotti la posizione dell'ECOWAS. Gli stessi Stati Uniti sono subito scesi in campo, bloccando ogni aiuto al Mali (e facendo quindi pagare per l'ennesima volta alle popolazioni civili il prezzo delle decisioni di politica estera dell'amministrazione USA, avventuriere e sbagliate, sbagliate già dal momento in cui Obama sostenne lo spodestamento di Gheddafi). Il Washington Post, il più reazionario giornale statunitense in materia di politica estera, peraltro anche sensibile agli interessi geo strategici francesi, poiché fra i proprietari figura la Lazard, storica banca d'affari franco-statunitense, ha scritto che, poiché la Francia non vuole intervenire militarmente, sarebbe necessario un intervento militare della NATO diretto a “fermare i ribelli tuareg”.
In questo quadro, si capisce anche perché il colpo di Stato militare che, il 22 Marzo, nel bel mezzo della ribellione tuareg nel Nord del Paese, ha esautorato il Presidente del Mali Amadou Toumani Touré sia stato immediatamente condannato in modo generalizzato dall'intera comunità internazionale, ed i militari golpisti siano stati quindi costretti quasi immediatamente a dimettersi, lasciando l'incarico di guidare il Paese al portavoce del Parlamento, Traoré, per un breve Governo di transizione in vista di elezioni molto incerte. Il colpo di Stato dei militari è in realtà motivato essenzialmente da un risentimento che strisciava da anni fra gli strati bassi e intermedi dell'Esercito governativo, a causa delle paghe molto basse, dei livelli modesti di equipaggiamento ed addestramento, che espongono i militari a gravi rischi nel corso delle periodiche operazioni contro le ripetute ribellioni tuareg, e per motivi etnici: le etnie non tuareg presenti nell'Esercito non hanno mai digerito il fatto che, a seguito degli accordi di cessate-il-fuoco del 2008, molti tuareg siano stati reclutati nelle Forze Armate. Tuttavia, tale colpo di Stato, motivato ufficialmente dai golpisti con l'inefficienza dell'ex Presidente nel contrastare l'indipendentismo tuareg, si è in realtà tradotto in un enorme regalo ai ribelli. Il caos in cui è precipitato il Paese nei giorni successivi al putsch ha infatti aiutato gli insorti a conquistare le principali città dell'Azawar (Gao, Timbuctù, Ansongo) ed a ottenerne una secessione de facto. L'intera comunità internazionale si è quindi mossa concordemente per chiedere l'immediato ripristino del Governo pre-golpe (ivi compresa la Cina, che nel business minerario e petrolifero del Niger ha grossi interessi, e che teme molto che il successo dell'indipendentismo tuareg nel Mali si diffonda, come un'epidemia, anche ai tuareg che combattono la stessa battaglia nel Niger). Il governo di Toumani Touré (grande amico della Francia e dell'amministrazione Bush), infatti, riuscì a reprimere con successo la precedente ribellione del 2008, anche utilizzando metodi sbrigativi più degni di un despota che di un “soldato della democrazia”, come viene considerato dai suoi amici occidentali.
In realtà, il colpo di Stato dei militari di Bamako ha interrotto un tentativo di repressione dell'indipendentismo tuareg che era in atto non soltanto con armi militari, ma anche con gli strumenti dell'inganno mediatico. Come si è già detto, il tentativo principale di screditare il diritto dei tuareg all'autodeterminazione passa per il tramite di una identificazione di tale lotta con il fondamentalismo islamico di Al Qaeda. Però il fondamentalismo islamico ha una storia di alleanze strategiche molto più importante con gli Stati Uniti che con le popolazioni locali (storia che inizia dal conflitto afghano degli anni Ottanta). Inoltre, la linea politica dell'imperialismo occidentale, nel post-Primavera Araba, non è più quella di sostenere regimi laici amichevoli alla Ben Alì, ma proprio quella di sostenere l'islamismo più o meno moderato (come dimostra il successo di Ennahda in Tunisia, propiziato da generosi finanziamenti da parte della Turchia e di altri Paesi musulmani alleati dell'Occidente, o l'ascesa di Al Qaeda nella Libia post-Gheddafi, con il suo leader locale Belhadj che ha preso il potere, defenestrando i “laici” Jalloul e Jibril, laici che comunque avevano provato a restare al potere promettendo di riscrivere in base alla sharia la Costituzione post-gheddafiana del Paese, con l'aiuto, secondo Thierry Meyssan, degli USA e della Gran Bretagna, cfr. http://www.voltairenet.org/Come-al-Qaida-e-arrivata-al-potere; come dimostra anche l'endorsement che lo stesso senatore repubblicano Mc Cain ha promesso al leader della Fratellanza Musulmana egiziana, candidatosi alle prossime elezioni in contrasto con la Giunta militare, ed anche con i candidati che rappresentano la componente laica della società civile egiziana, come El Baradey).
Pertanto, per la linea politica adottata rispetto al Nord Africa, l'Occidente ha perso qualsiasi diritto a criticare i suoi avversari perché stringono alleanze con l'islamismo o con la stessa Al Qaeda. Inoltre, non vi è alcuna prova seria che il MNLA sia effettivamente alleato con Al Qaeda. Il fatto che la rivolta tuareg sia guidata anche dal movimento islamista Ansar Dine, il cui leader, Ag Ghaly, è stato affiliato ad AQMY, non significa niente. Il MNLA, infatti, si proclama laico e democratico, e persegue un programma finalizzato alla creazione di uno Stato tuareg democratico ed indipendente, ed il suo stesso leader afferma che le tendenze islamiste radicali non appartengono alla cultura del popolo tuareg. Vi sono inoltre numerosi episodi ben testimoniati di contrasti, anche violenti, fra MNLA e Ansar Dine durante la recente ribellione. Ad esempio, lo stesso professor Keenan dell'Università di Londra accredita le versioni secondo cui MNLA e Ansar Dine non sembrano combattere insieme, e sembrano piuttosto muoversi con una elevata autonomia reciproca. L'episodio di Gao, in cui un commando di Ansar Dine ha preso in ostaggio il console algerino, è significativo: l'MNLA si è immediatamente dissociata da tale azione. Nella stessa città di Gao, Ansar Dine avrebbe conquistato una base militare, e ne sarebbe stata scacciata dall'arrivo del MNLA, mentre un locale comandante militare dell'MNLA avrebbe detto, in un'intervista, che “Ansar Dine è qui ma i loro obiettivi ed i nostri sono completamente diversi. Non c'è collaborazione né accordo” (David Lewis, Reuters, 4 Aprile 2012, http://www.reuters.com/article/2012/04/04/us-mali-rogue-idUSBRE8330X220120404 ). Contestualmente, tramite il suo portavoce, Ama Hag Sid'Hamed, l'MNLA ha ordinato a Ansar Dine di abbandonare la città di Timbuctù.
Il sospetto è che, ancora una volta, l'islamismo venga utilizzato dall'imperialismo occidentale come alleato per fare le operazioni sporche, come si è verificato in Afghanistan nel corso della guerra contro gli occupanti sovietici, e come sembra verificarsi anche in Siria, nell'interessato tentativo di far fuori Assad. La storia del leader di Ansar Dine è infatti molto sospetta. Il buon Iyad Ag Ghaly, infatti, nasce come combattente dell'MPLA, movimento indipendentista tutt'altro che jihadista, e dopo la fine della ribellione del 1996 viene assunto dal Governo del Mali,suo precedente nemico, ed inviato in qualità di diplomatico in Arabia Saudita. Quando si scopre che sta intrattenendo rapporti con movimenti islamisti sauditi e con esponenti di al Qaeda, viene richiamato in Patria ma non licenziato. Si perdono le sue tracce e poi, quando a Gennaio 2012 esplode la ribellione tuareg, all'improvviso rispunta fuori dal nulla, annunciando l'improvvisa nascita di Ansar Dine, senza fornire informazioni sui finanziatori di tale operazione. E questa organizzazione nata dal nulla ed in modo improvviso inizia a combattere autonomamente, mettendo in luce capacità militari ed un equipaggiamento bellico di prim'ordine. Chi glieli ha forniti? Tutta questa storia puzza di operazione di intelligence, fatta per portare discredito alla causa indipendentistica dei tuareg, identificando mediaticamente con il jihadismo quella che altro non è che una causa (legittima) di autodeterminazione di un popolo.
La sostanza è che qui c'è un diritto all'indipendenza nazionale, che crea problemi all'imperialismo occidentale, perché foriero di una possibile esplosione di tutta l'Africa nord occidentale, e che è stato gestito male da apprendisti stregoni che, bombardando la Libia, si illudevano di diventare i padroni dell'Africa ed adesso si ritrovano fra le mani una situazione ingestibile, con uno Stato tuareg de facto, un Governo del Mali incapace di reagire ed in preda alle incertezze di una transizione verso le elezioni anticipate dopo un colpo di Stato maldestro, con un Presidente ad intermi (Traoré) che non si sa quanto reale potere abbia nel Paese, con tentativi di attribuzione di una natura jihadista ad un movimento di liberazione nazionale altrettanto maldestri, l'assenza di un soggetto regionale in grado di svolgere un ruolo negoziale, l'impossibilità di un intervento militare dall'esterno che riporti sotto controllo la situazione, perché il principale soggetto che lo dovrebbe sostenere, la Francia, è alle prese con una fase elettorale molto delicata (ma fonti della BBC parlano di circa 3.000 militari dell'ECOWAS pronti ad intervenire contro i tuareg, facendo da braccio armato all'impotente Francia). Ma come dire: chi è causa del suo mal pianga sé stesso. 

 Riccardo Achilli

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