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lunedì 9 gennaio 2012

David Cameron, il nuovo protagonista dello shakespeariano servo Oswald, di Riccardo Achilli



di Riccardo Achilli

Spiace doverlo dire ai tanti euro-fanatici, che affollano le borghesie macellaie dei Paesi europei, ma la scelta di Cameron di bocciare l'idea di una Tobin Tax è del tutto logica e coerente con una strategia resa esplicita già da mesi, da quando cioè il governo britannico si oppose al tentativo di regolamentazione dei mercati finanziari europei portato avanti dalla Commissione, e successivamente rigettò la proposta di revisione dei trattati europei, rompendo proprio sul rifiuto di vedersi imporre nuove regole restrittive sui servizi finanziari. La strategia di Cameron, o meglio dei poteri finanziari che gli stanno dietro, e che oramai reggono le sorti dell'economia britannica, fra le più finanziarizzate del mondo, è quella di affondare sistematicamente ogni tentativo di imbrigliare i movimenti finanziari, ivi compresi quelli speculativi ed over the counter. Poiché la City rappresenta, per capitalizzazione, il quarto più grande operatore borsistico mondiale ed il più grande in Europa, è chiaro che l'opposizione del suo governo a qualsiasi ipotesi di regolamentazione o fiscalizzazione delle transazioni finanziarie diventa determinante.
D'altra parte, in questo caso Cameron ha anche ragioni tecniche da vendere: non ha senso imporre la Tobin Tax soltanto sui mercati finanziari europei, perché ciò non farebbe altro che spostare le transazioni finanziarie meramente speculative, cioè sganciate da qualsiasi attività produttiva o reale, verso altre piazze offshore che non abbiano tale tassa. Mentre penalizzerebbe le transazioni finanziarie a destinazione produttiva (aumenti di capitale effettuati da imprese industriali sui mercati borsistici e finalizzati a maggiori investimenti, utilizzo di strumenti derivati per finalità meramente protettive di investimenti produttivi o transazioni commerciali di beni) ampliando il gap competitivo delle imprese europee rispetto a quelle extra europee. Infine, l'iniziale incremento di gettito fiscale derivante dall'introduzione della Tobin Tax sarebbe più che controbilanciato dal calo di gettito delle imposte sui redditi da capitale, derivante dalla fuga dei capitali finanziari dai mercati europei verso quelli privi di imposizione fiscale, dal calo delle imposte sui redditi societari raccolte dalle banche e dagli altri operatori finanziari, che vedrebbero ovviamente calare i loro utili, e quindi la loro base imponibile, in ragione della fuga dei capitali verso altre piazze, e dal calo degli utili delle imprese produttive, che sarebbero penalizzate di un costo aggiuntivo per le loro transazioni finanziarie non speculative.
La verità, e Cameron ha perfettamente ragione, è che la Tobin Tax funziona soltanto se è applicata uniformemente, ovvero con la stessa aliquota e sulle medesime basi imponibili, in tutto il mondo, e ciò ovviamente la rende un progetto utopistico. Tra l'altro il presunto contenuto anti-speculativo di tale forma di imposizione è meramente irrealizzabile, per il semplice motivo che le transazioni finanziarie di tipo speculativo si verificano su mercati over the counter, privi di qualsiasi autorità di vigilanza, e la cui entità esatta è sconosciuta, e quindi sfugge a qualsiasi tentativo di imposizione fiscale. I loro esiti si possono vedere, e soltanto in termini compensativi fra attività e passività, e quindi come saldi di operazioni diverse, non come valori disaggregati delle singole operazioni, nei bilanci degli operatori finanziari, saldi che però possono essere influenzati anche da operazioni finanziarie non transattive (ad esempio, riacquisto di titoli propri) oppure risentire di operazioni completamente extra europee (in cui cioè le controparti non hanno sede legale nell'Ue, e rispetto alle quali l'operatore finanziario europeo ha effettuato soltanto un ruolo di intermediario) o ancora non essere operazioni speculative (cioè operazioni che si chiudono nel giro di 24-48 ore, che, come si è detto, avvenendo su mercati over the counter, sono prive di qualsiasi monitoraggio e quindi non sono stimabili, per determinare la base imponibile della tassa) rendendo quindi tecnicamente molto difficile determinare la base imponibile (in pratica, occorrerebbe imporre schemi di bilancio specifici a tutti gli operatori finanziari che agiscono sul mercato europeo). Operatori che però se non hanno sede legale nell'UE non possono essere tassati, a meno di stipulare una specifica convenzione fiscale con il Paese di origine (e se si tratta di un paradiso fiscale, una simile convenzione intergovernativa sarebbe molto difficile da stipulare) e se hanno sede legale nell'UE, possono facilmente sfuggire alla tassazione tramite movimenti finanziari con controllate di comodo aventi sede in paradisi fiscali.
In pratica, una simile tassa finirebbe per colpire quasi esclusivamente transazioni finanziarie non speculative, la banca o il fondo pensione che acquistano titoli per conto di piccoli risparmiatori, e che su di essi finirebbero per rivalersi mediante un incremento delle commissioni, l'impresa industriale che per investire fa un aumento di capitale in borsa, o acquista un derivato esclusivamente per proteggersi da eventi inattesi. Bloccando quindi il meccanismo di accumulazione monetaria originaria che è alla base dell'accumulazione capitalistica.
Con il suo rifiuto, Cameron svela il contenuto populistico di tale progetto, portato avanti soprattutto da Sarkozy, in una mera logica elettoralistica. Lo dimostra la reazione francese, affidata al ministro dell'edilizia popolare (che c'entri poi tale ministro con un progetto di tassazione sulle attività finanziarie è un'altra dimostrazione dell'inconsistenza tecnica del progetto) che, imperterrito, dichiara che la Tobin Tax sarà applicata anche nella sola Francia! E le indiscrezioni parlano di un progetto di tassazione delle sole compravendite di azioni in Borsa, operazioni che spesso non hanno contenuto speculativo, poiché sovente vengono portate avanti da piccoli risparmiatori desiderosi di crearsi un portafoglio titoli da rivendere in futuro, e che nel frattempo gli può fruttare proventi dalla distribuzione degli utili, o da imprese desiderose di ricapitalizzarsi, oppure di acquisire quote di controllo in altre imprese. Si tratta cioè di un progetto del tutto diverso dalla Tobin Tax, che dovrebbe colpire essenzialmente transazioni di tipo speculativo, e che provoca tutti gli inconvenienti sopra accennati.
Ovviamente non sono un fan di Cameron. Però credo che la sua figura possa paragonarsi ad Oswald, il servitore del “Re Lear” shakespeariano, ovvero il “cattivo servizievole”. La sua cattiveria, ovvero la sua tenace resistenza, nel nome degli interessi di brevissimo termine dei mercati finanziari che controllano l'economia, e quindi la politica, del suo Paese, può quindi tornare utile alle ragioni della sinistra. L'operazione-Tobin Tax sponsorizzata dal tandem franco-tedesco che oramai domina indisturbato le politiche comunitarie, rivela suo il modesto contenuto concreto, da operazione populistico-propagandistica, utile soltanto per buttare un po' di polvere negli occhi, e quindi rendere più digeribili ai popoli europei le operazioni di macelleria sociale in atto. Con il suo rifiuto, Cameron rende impossibile l'unica strada praticabile per cercare di salvare l'euro, ovvero l'unificazione fiscale e la mutualizzazione della gestione dei debiti pubblici nazionali su scala europea. In effetti, il gettito fiscale della Tobin Tax avrebbe dovuto, nel pensiero di molti, essere destinato a base di garanzia per l'emissione degli eurobonds, di fatto il primo passo per una gestione europea dei debiti pubblici nazionali. Ma soprattutto, il rifiuto di aderire al progetto di riforma dei Trattati europei impedisce al tandem Sarkozy-Merkel di acquisire quel quid di credibilità in più, rispetto ai mercati, che un'adesione convinta della Gran Bretagna avrebbe garantito, e mantiene quindi l'area-euro nel pieno della bufera speculativa.
Di fatto, il grande rifiuto britannico rivela come, per la borghesia finanziaria globale, lo strumento dell'euro sia, per quanto utile, comunque meno importante rispetto alla garanzia del mantenimento della più ampia libertà di circolazione globale del capitale finanziario e della sua redditività, da non intaccare con alcuna ipotesi di tassazione, neanche la più inefficace. Di fronte all'alternativa fra salvare l'euro e salvare il più assoluto laissez-faire sui mercati finanziari globali, la borghesia finanziaria sceglie la seconda. E ciò rappresenta una sconfitta per la borghesia di quei Paesi, come la Germania, la Francia o anche l'Italia, che è ancora, per larga misura, una borghesia industriale, manifatturiera (non è un caso se le banche italiane, tedesche e francesi superano regolarmente gli stress test, ovvero le simulazioni di stabilità patrimoniale, perché la loro attività, essendo legata ad economie nazionali ancora fortemente manifatturiere, è meno focalizzata sugli investimenti speculativi, e quindi hanno una minore quantità di titoli tossici o svalutati nei loro portafogli; non è un caso se nessuna banca italiana è fallita, se la Francia ha dovuto salvare una sola banca, peraltro in larga parte di proprietà belga, ovvero la Dexia, se in Germania l'unico caso di fallimento significativo sia quello della HRE, mentre in Gran Bretagna, economia fortemente finanziarizzata, il Governo ha dovuto intervenire per nazionalizzare ben sei istituti di credito, di fatto falliti).
Per una borghesia ancora in larga misura legata all'economia reale, la necessità di imporre forme di regolamentazione al laissez-faire dei mercati finanziari, assolutamente irrinunciabile se si vuole salvare l'euro, diviene una opportunità per riequilibrare a proprio favore i rapporti di forza con il mondo delle banche, delle società assicurative e dei grandi fondi di investimento, che negli ultimi 40 anni, in termini di andamenti differenziali del tasso di profitto medio, si sono spostati sempre più in direzione della finanza, ed a detrimento dell'economia reale. Per questo la Tobin Tax è esplicitamente sostenuta da Francia e Germania, per questo Monti predica ad ogni piè sospinto una maggiore collaborazione a livello europeo nella gestione del debito pubblico dei singoli Paesi. D'altra parte, le economie emergenti che negli ultimi quindici anni hanno avuto i maggiori successi, in termini di tasso di industrializzazione, quindi di espansione della loro economia reale, sono quelle che, a seguito di crisi finanziarie, hanno introdotto meccanismi di regolamentazione dei movimenti finanziari a breve (Brasile, Cina, India, altre economie asiatiche).
In sostanza, l'euro, benché inizialmente sia stato un progetto costruito in favore dei mercati finanziari, in questa fase recessiva, che ha rimescolato le carte in tavola, diviene, sotto la bandiera della sua “Salvezza”, il modo con il quale le borghesie manifatturiere cercano di recuperare la caduta del tasso di profitto del comparto reale dell'economia, e riequilibrarne l'andamento rispetto al tasso di profitto finanziario, e ciò attraverso tre direttrici:
a) imponendo un abbassamento del rapporto fra costo e produttività del lavoro, ed incrementandone la flessibilità di utilizzo;
b) imponendo un cambiamento strutturale dei flussi finanziari pubblici, con la scusa del “risanamento dei conti” necessario per la salvezza dell'euro, recuperando risorse dai tagli alla spesa pubblica per finalità sociali a favore di una riduzione dell'imposizione fiscale sui redditi da impresa;
c) cercando di costringere il mondo della finanza a ridurre, almeno in parte, la sua libertà di manovra, orientando maggiori risorse dagli investimenti meramente speculativi verso quelli a sostegno dell'economia reale (ovvero il credito ordinario). In questa chiave va letto il tentativo di regolamentazione dei mercati finanziari messo a punto da Obama nel 2010, e fortemente avversato dalle lobbies legate a Wall Street, interne anche al partito democratico, così come il parallelo tentativo fatto dalla Commissione europea, su impulso franco-tedesco, ed osteggiato dalla City londinese, basato sul passaporto europeo per gli operatori finanziari, su meccanismi di controllo/contenimento dell'operato delle agenzie di rating private, che sono chiaramente piegate agli interessi degli operatori finanziari che le controllano, su meccanismi di maggior monitoraggio dei flussi finanziari e di vigilanza dei mercati finanziari, affidandosi anche alla costituzione di nuove autorità di vigilanza (come ad es. le tre neo istituite autorità europee di vigilanza: sul mercato bancario, su quello assicurativo e su quello mobiliare). In questa stessa chiave vanno anche provvedimenti soprattutto di immagine, come la Tobin Tax, che però sono utili ad evidenziare in forma mediatica la direzione restrittiva che si vuole imporre ai mercati finanziari.
Con la decisione sulla Tobin Tax, ma ancor di più con la decisione del mese scorso di non aderire alla revisione dei trattati europei ed alla maggiore disciplina di bilancio che tale revisione impone, Cameron, in nome e per conto della borghesia finanziaria di cui è rappresentante, fa piazza pulita di questo tentativo operato dalle borghesie industriali europee. Riafferma il primato della finanza sull'economia reale, e della finanza sulla politica, in questa fase matura del capitalismo terziarizzato. Sa di infliggere un colpo ferale all'euro (ma ciò potrebbe in fin dei conti rafforzare il ruolo della sterlina nel sistema valutario mondiale) ma difende il bene più prezioso per i mercati finanziari, ovvero la garanzia che nessuna regola o restrizione gli verrà mai imposta. In fondo, anche la caduta dell'euro non intaccherà l'esistenza del mercato comune europeo, quindi della libera circolazione dei capitali. Certo, senza l'euro gli investimenti speculativi interni all'area della UE saranno afflitti da un rischio di cambio che la moneta unica aveva cancellato, ma evidentemente la sua salvezza, se deve passare attraverso una più rigida regolamentazione dei mercati finanziari, ha, per gli operatori finanziari globali, un costo più elevato dei suoi benefici.
E' per questo che, a mio sommesso parere, nella situazione odierna la sinistra europea dovrebbe abbracciare una prospettiva anti-europeista (perché oggi la salvezza dell'euro corrisponde al disegno, da parte della borghesia industriale, di recuperare margini di profitto crescenti tramite operazioni di ristrutturazione sociale molto dolorose per il proletariato, in nome dei conti pubblici) ed anti-globale (perché la globalizzazione neoliberista è la base dell'espansione della borghesia finanziaria). In altri termini, la sinistra dovrebbe lottare:
- per un recupero di sovranità nazionale sulla politica monetaria, pensando, anche in una logica di cooperazione con altri Paesi, ad una uscita graduale e il meno traumatica possibile dall'euro,
- per un recupero di sovranità nazionale sulla gestione del debito pubblico, negoziando la cancellazione di quote di debito estero che siano illegittime (perché contratte da governi non rappresentativi del popolo, come potrebbero essere considerati i Governi italiani nominati da Parlamenti di designati, non di eletti, mediante il Porcellum) illegali (perché contratte per arrecare benefici a determinati settori della popolazione, o legate a pratiche di corruzione) o immorali (perché contratte per finanziare investimenti immorali, come quelli militari o quelli inquinanti);
- per un recupero di capacità autonoma di imporre restrizioni, per via normativa, ai movimenti finanziari, imponendo ad esempio il divieto di utilizzo di strumenti derivati per finalità diverse da quelle di copertura dai rischi, nonché il ripristino di rigide restrizioni amministrative alle esportazioni di capitali, accompagnate da severe sanzioni, abolendo ex lege gli operatori finanziari non bancari (fondi di investimento, fondi pensionistici, società di gestione del risparmio, ecc., proibendo alle compagnie assicurative di effettuare investimenti di tipo finanziario);
- per imporre la nazionalizzazione di banche ed assicurazioni, favorendo il controllo congiunto di tali istituti da parte dei lavoratori e della clientela, il mutualismo ed il principio di credito etico, riducendo il tasso di interesse al mero costo, in termini di tempo-lavoro, delle istruttorie per la concessione del credito, senza alcun margine di profitto, limitando le attività di banche ed assicurazioni esclusivamente, rispettivamente, all'intermediazione creditizia ed all'erogazione di coperture assicurative, facendo pagare le passività legate alla gestione del portafoglio di attività finanziarie ai precedenti proprietari;
- per estendere progressivamente il meccanismo di collettivizzazione della gestione a tutte le attività produttive, con principi di rotazione delle funzioni dirigenziali, e di pianificazione economica partecipata e dal basso, coordinata dallo Stato soltanto a livello metodologico, iniziando dai contesti economici locali e quindi dalla costruzione di micro-reti economiche territoriali alla scala territoriale minima per garantirne l'autosufficienza e la capacità di riproduzione.


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