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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 29 dicembre 2011

Monti e la "fase due", di Riccardo Achilli


Dopo aver bloccato una parte del centro storico di Roma per una parte della giornata, provocando danni economici alle attività comerciali e turistiche ivi ubicate, ed anche una spesa a carico del pubblico erario, Monti delude ogni aspettativa sull'illustrazione della "fase 2", mettendo in scena una delle conferenze stampa di fine anno più soporifere ed inutili della storia della Repubblica, almeno dai tempi in cui a farle erano i vari Fanfani, Andreotti, ecc. Non illustra alcuno dei provvedimenti materialmente in via di elaborazione, passando due ore e mezza a chiacchierare vagamente di massimi sistemi. E questo non è certo un comportamento da tecnico, avvezzo a parlare solo quando ha elementi tecnici da illustrare, quanto piuttosto da politicante demagogico. E non basta la ridicola esibizione di un foglietto con il grafico della serie storica dello spread, mostrato ai giornalisti in preda all'ilarità con fare da sapientino, per darsi arie da tecnico. Persino le riforme istituzionali vengono demandate alla responsabilità dei partiti, ben sapendo che sono assolutamente incapaci di trovare l'accordo per farle, e rinunciando all'unica possibilità di rinnovare un assetto istituzionale dello Stato in piena agonia.

Al vero e proprio "horror vacui" che suscita la conferenza stampa contribuisce persino la stampa (peraltro tutta quanta rappresentante della borghesia che sostiene il Governo Monti) che evita di fare domande scomode (del tipo "perché avete speso quasi tutto l'importo della manovra in acquisti di cacciabombardieri francamente inutili stante la situazione internazionale?" oppure "perché non avete ripristinato il prelievo dell'IMU sui beni ecclesiastici, perlomeno nella versione, comunque limitata, del 2006?", o ancora "perché non avete imposto un prelievo straordinario, anche solo simbolico, sull'1% delle famiglie più ricche del Paese?" "Perché non fate un'asta per assegnare le frequenze televisive?") Le domande dei giornalisti, dovutamente ammaestrati, si orientano invece su temi innocui ed ininteressanti, da pettegolezzo ("pensa di continuare a fare politica anche dopo il 2013?" ma scusate, a voi ve ne frega qualcosa di conoscere i destini futuri di Monti?) Oppure su domande che tradiscono l'inquietudine della borghesia di fronte a possibili derive antagoniste "ci saranno scenari simili a quelli delle contestazioni in Grecia?" Al solo fine di sentirsi rassicurare da Monti ("faremo di tutto per evitare tensioni sociali") e quindi a loro volta rassicurare i loro editori e padroni della borghesia. In questa pietosa scenetta da avanspettacolo, fra un premier che non vuole dire niente di significativo ad un Paese impaurito, e giornalisti ammaestrati a non insistere per cavargli fuori qualcosa, si scambiano le parti, e Monti, allegramente, si improvvisa giornalista, suggerendo ai "colleghi" lo slogan mediatico con cui battezzare la fase 2 "chiamatela Cresci Italia, non ho obiezioni".

Nel vuoto pneumatico di chiacchiere sembrano emergere obiettivi puramente politici, non mirati quindi a quello che dovrebbe essere il destinatario naturale di un simile discorso, ovvero il popolo martoriato, ma ai corridoi dei partiti ed ai sottoscala della politica: si inanellano inviti all'Idv a rientrare nei ranghi (a quanto pare anche con un certo successo, vista la risposta possibilista di Di Pietro, "valuteremo gli specifici provvedimenti", come se ci fosse la possibilità di qualche sorpresa favorevole da parte del Governo nelle prossime settimane, che possa essere condivisa da un partito che si dice di sinistra), elogi ai partiti che sostengono il Governo in Parlamento (gli stessi che hanno portato le finanze pubbliche, ed in generale l'economia italiana, all'attuale situazione di dissesto, e che, incapaci di proporre una soluzione, hanno abdicato in favore dei "tecnici"), sviolinate per Napolitano (che del resto è il regista, nemmeno tanto occulto, di tutta l'operazione-Monti). Si dispensano vere e proprie bugie, in puro stile berlusconiano, come quella secondo cui "le ultime aste dei titoli pubblici sono andate bene", quando invece ad andare benino è stata solo l'asta dei Bot semestrali di martedì, atteso che i mercati, ovviamente, non si aspettano il tracollo definitivo dell'economia italiana nel giro di soli 6 mesi, ora che al suo capezzale c'è un infermiere pronto a teneral in coma farmacologico anche per più di un anno, come Monti). L'asta odierna dei Btp, ovvero dei titoli a scadenza pluriennale, è invece andata maluccio, scontando la persistente sfiducia dei mercati nelel prospettive di medio termine dell'economia italiana: sono stati piazzati solo 7 degli 8,5 miliardi preventivati, il tasso di rendimento è rimasto alto, sfiorando il 7%. Il mercato interbancario è catatonico, le banche preferiscono depositare la loro liquidità in eccesso presso la Bce, con un rendimento prossimo allo zero, piuttosto che prestarselo fra loro, la Borsa continua a registrare tendenze al calo, il clima di fiducia di imprese e consumatori è agonizzante. Monti mente spudoratamente anche quando afferma che "non ci saranno altre manovre". Bugia evidente: per legge ne dovrà fare comunque un'altra entro il mese di Giugno, perché è a Giugno che si presenta la legge di stabilità per l'anno successivo, anche solo di tipo tabellare (che poi tabellare non è mai, c'è sempre una componente di aggiustamento, in questo caso anche cospicua, atteso che la recessione, iniziata già nel terzo trimestre del 2011, abbasserà gli obiettivi di gettito, richiedendo un supplemento di manovra i nestate). L'unico barlume di sincerità emerge forse da uno dei lapsus che caratterizzano il prode Monti di quando in quando: afferma infatti di essere stato scelto anche per "rassicurare l'opinione pubblica tedesca". Questo non è molto lontano dalla realtà, in effetti, visto che l'operazione-Monti, così come quella Papandreou/Papademos in Grecia, è stata cucinata dalla premiata coppia Merkel/Sarkozy.

Per il resto, il poco di concreto che emerge dal fumo delle chiacchiere del professore rivelano quanto già si sa, ovvero un'impostazione puramente neo liberista, in cui lo sviluppo non si fa utilizzando il volano della spesa pubblica, ma anzi riducendo lo Stato all'osso, e limitandone il ruolo alla predisposizione di un ambiente normativo favorevole al business ed all'allargamento della concorrenza. Tutto ciò, di per sè stesso, ancora una volta in una logica puramente neoclassica, contribuisce anche all'equità ed alla felicità sociale, poiché per un liberista il mercato in condizioni di concorrenza perfetta raggiunge di per sè, in automatico e senza necessità di interventi correttivi pubblici, le condizioni di equità distributiva ideali. Al rettore di economia Monti non importa che circa 80-100 anni di elaborazione della teoria economica abbiano dimostrato, in forma matematica oltre che con riscontri empirici innumerevoli, il fatto che i mercati concorrenziali garantiscono l'equità distributiva solo in particolari condizioni, completamente irrealistiche (rendimenti costanti dei fattori, così come modellati da funzioni della produzione, di tipo Cobb-Douglas, che nelle realtà produttive non esistono, perfetta informazione ed assenza di asimmetrie informative, perfetta razionalità nelle scelte di investimento, produzione e consumo, assenza di esternalità, assenza di posizioni oligopolistiche sui mercati, ecc.). In tali condizioni del tutto astratte ed irreali, praticamente da film di fantascienza, infatti, i rendimenti di scala costanti dei fattori consentirebbero, in base al teorema di Eulero, una remunerazione esattamente pari alla loro produttività, e non vi sarebbe extra-profitto, quindi non vi sarebbe sfruttamento, e si realizzerebbe l'equità.

Un modo semplice di spiegare l'illusione che vi possa essere "equità tramite i mercati in concorrenza" può essere il seguente: supponiamo che in condizioni di concorrenza perfetta, informazione perfetta e simmetrica, totale razionalità, assenza di frizioni in fase distributiva, la funzione di produzione sia una Cobb-Douglas del tipo Y=(l.k)^1/2, dove Y è il volume di produzione, l la quantità di lavoro e k di capitale, e supponiamo che si parta da una situazione in cui si produce con una unità di lavoro ed una di capitale, quindi con un valore di Y pari ad 1. Poiché la produttività e la quantità assoluta dei due fattori è identica, lavoro e capitale riceveranno lo stesso valore del prodotto complessivo come remunerazione (pari a 0.5 ciascuno). Se si aumenta della stessa misura la produttività di entrambi i fattori, in modo che ogni unità produca come se fossero due, si avrà quindi y=2, ed ancora una volta lavoro e capitale, avendo partecipato alla produzione con la stessa produttività e la stessa quantità, riceveranno lo stesso importo come remunerazione (pari a 1 ciascuno), importo che peraltro è pari all'incremento di produttività conseguito da ciascun fattore (da 1, nel periodo precedente, a 2). In altri termini, in queste condizioni del tutto teoriche e irrealizzabili nel mondo reale, la remunerazione dei fattori dipende eclusivamente dal loro apporto effettivo alla produzione (dato dalla loro produttività e dalla quantità assoluta di ciascun fattore immessa nel ciclo produttivo), senza extraprofitto. In pratica, a ciascuno verrebbe dato secondo il suo apporto al ciclo produttivo, per un importo pari alla variazione della sua produttività fra un periodo all'altro, senza qundi che vi sia sfruttamento. Se si verificasse uno squilibrio fra remunerazione ed apporto produttivo di un fattore, la razionalità degli agenti, e la possibilità di cambiare datore di lavoro in base alle condizioni di lavoro e di retribuzione che ciascuna azienda liberamente (e concorrenzialmente) offre, comporterebbero un rapido riaggiustamento verso l'equilibrio "equo". Nel caso dell'esempio, se un lavoratore, che abbia incrementato la sua produttività per un valore pari ad 1, ricevesse dal suo datore di lavoro una remunerazione inferiore all'incremento di produttività (poniamo, ad esempio, 0.8) in una condizione teorica di perfetta informazione e razionalità assoluta, di concorrenza perfetta sul mercato del lavoro e di assenza di vincoli esterni alla mobilità professionale, troverebbe sicuramente un altro datore di lavoro pronto ad offrirgli una remunerazione pari ad 1, per accaparrarsi un lavoratore a produttività elevata. Il datore di lavoro originario, per non perdere tale lavoratore (il che comporterebbe un declino delle sue capacità produttive, dunque del fatturato, ed il rischio di fallire) dovrebbe quindi riaggiustare verso l'alto, da 0.8 ad 1, la remunerazione offerta. Ed il sistema troverebbe dunque l'equlibrio ad un valore di remunerazione del fattore-lavoro pari alla sua incrementata produttività.

Peccato che tutto ciò dipenda da condizioni che nella realtà non si verificano mai: la presenza di una tecnologia produttiva che garantisca rendimenti di scala costanti di tutti i fattori, la perfetta informazione e totale razionalità degli agenti e l'assenza di esternalità in fase distributiva, la condizione di concorrenza perfetta, ovvero l'assenza di qualsiasi posizione di vantaggio, in termini di maggior potere di mercato, di un operatore sugli altri (senza la quale non è possible avere rendimenti costanti). Cioè la "giustizia dei mercati" dipende da un mondo teorico che non esiste. Tuttavia è bene comprendere che un liberale come Monti, nella sua mente, ha esattamente tale schema irrealistico, ed è sulla base di tale schema che ragiona, quando discetta di "equità".

Pertanto, nel mondo ingenuo e delirante di un liberista come Monti, per raggiungere una maggiore equità distributiva e felicità sociale è sufficiente creare condizioni più vicine al modello teorico di concorrenza perfetta, aumentando il grado di concorrenzialità sui mercati, magari abolendo le tariffe minime dei commercialisti e liberalizzando i taxi (come se nelle scelte di consumo di una famiglia di operai i viaggi in taxi o i consulti con il commercialista occupassero un peso rilevante).

Esattamente con lo stesso criterio di ampliamento della concorrenza sui mercati, per Monti il superamento del drammatico dualismo che affligge il mercato del lavoro italiano si ottiene non innalzando il livello delle tutele dei non garantiti (che ridurrebbe la concorrenza dal lato dell'offerta di lavoro, creando lavoratori maggiormente "protetti", e quindi con posizioni di vantaggio in termini di potere di mercato, in sede di contrattazione), ma eliminando quelle dei garantiti (in modo da creare condizioni di maggior concorrenza fra i lavoratori, senza più vincoli legislativi che li tutelino nel gioco competitivo con i datori di lavoro). D'altra parte, pensa il Monti, adottando il vecchio detto "mal comune mezzo gaudio" non vi saranno più precari infelici perché paragonano sè stessi ad un modello ideale di lavoratori a tempo indeterminato, ma solo precari e basta, e poi chi è più competitivo, o per meglio dire, poiché il modello teorico di concorrenza perfetta è irreale, chi è più privilegiato (per ragioni di famiglia, di estrazione sociale, di condizioni economiche di partenza) o chi è più aggressivo potrà camminare. Gli altri che muoiano. D'altra parte, "competition is competition". In cambio, per i tanti che finiranno dalla parte perdente della gara per la sopravvivenza vengono garantiti, se tutto andrà bene, 700 euro al mese per 6 mesi, in cambio dell'impegno ad accettare qualsiasi lavoro venga loro offerto, in qualsiasi luogo del Paese (quindi magari l'ingegnere di Milano dovrà andare a fare il netturbino a Pantelleria, abbandonando famiglia e legittime ambizioni profesisonali). Ecco che il contratto unico di inserimento di ichiniana genesi diviene utile: un contratto che prevede la libertà assoluta di licenziamento, dietro pagamento di una compensazione monetaria, crescente al crescere dell'anzianità (e quindi basta licenziare la gente dopo pochissimi anni di servizio, adottando modelli di gestione del personale caratterizzati da un continuo turnover di disgraziati, per ritrovarsi a dover pagare una compensazione monetaria insignificante, a tutto danno del poveraccio che verrà messo in mezzo ad una strada con quattro soldi).

Per comprendere quanta "felicità" porti questo modello sociale, basta vedere quello che succede negli USA, che di tale modello sono l'applicazione pratica più completa: forse pochi sanno che tale Paese è ai primi posti nelle classifiche mondiali (mondiali...) per tasso di suicidio, omicidi e indici di criminalità violenta, indice di povertà assoluta. Se questa è la felicità, professor Monti, preferiamo rimanercene all'inferno.

Poiché la controfaccia del liberismo economico è quasi sempre l'autoritarismo politico, l'ineffabile Monti si abbandona ad affermazioni che fanno venire i brividi: assicura che "non ci saranno tensioni sociali come in Grecia". E come pensa di fare, magari avvalendosi dei servizi di un ministro della difesa che, per la prima volta nella storia della Repubblica, è un militare (oltretutto esperto in operazioni antisommossa, avendo partecipato a misisoni di peacekeeping in Paesi dove ci sono guerre civili) anziché un politico civile che, in teoria, potrebbe fare da filtro all'animus pugnandi tipico dei militari? Ancora: dice una cosa spaventosa riguardo al finanziamento del fondo nazionale per l'editoria. La riporto tale e quale, affinché non si dica che la sto manipolando: "i contributi all'editoria verranno mantenuti ma stiamo lavorando a criteri obiettivi per scegliere e selezionare ciò che da un punto di vista generale ci parrà più meritevole del contributo". Stiamo scherzando? Un Governo che decide quali siano i criteri per finanziare alcuni giornali piuttosto che altri? Criteri stabiliti unilateralmente e non decisi né con i diretti interessati né con l'opinione pubblica? Questa è l'anticamera della censura! Naturalmente, poiché una piccola guerra ci starebbe a fagiolo per distruggere un pò di capitale produttivo in eccesso, e per far girare l'industria bellica ed il suo indotto, ecco che il pacifico professore varesotto si mette in testa il képi da ascaro e afferma che un eventuale blocco dello stretto di Hormuz da parte dell'Iran sarà trattato con la massima severità. Magari se scoppia una guerra e gli iraniani affondano un paio di fregate della Marina, sarà possibile evitare la chiusura dei cantieri di Sestri e Castellammare, poiché gli si potranno commisisonare le navi destinate a sostituire le perdite, facendo macinare buoni utili a migliaia di imprese private dell'enorme indotto della cantieristica militare.

Monti però, nonostante questa oscene dichiarazioni, che scivolano via come il burro senza che nemmeno un giornalista in sala si alzi per dirgli "ma lei è matto?" si riempie continuamente la bocca della parola "equità", sfruttando quella che Costanzo Preve ha efficamente definito "la demenza generalizzata del popolo italiano".

Caro Monti, se veramente il Suo riferimento fosse l'equità, perché non ha pronunciato una volta, una sola volta, la parola "Mezzogiorno" in tutta la conferenza stampa? E' o non è il Mezzogiorno l'area del Paese che ha più bisogno di equità nelle opportunità di sviluppo? Eppure Lei non ha bisogno dei voti della Lega per galleggiare nella melma parlamentare. Perché non ha pronunciato una sola volta la parola "immigrati", l'espressione "disoccupati di lungo periodo e di età ultraquarantenne", oppure "disabili", o ancora "ex detenuti da reinserire in società"? Eppure queste sono alcune fra le categorie sociali più affette da problemi di iniquità nella nostra società. Non basta darsi il patentino di equità citando la questionedei giovani o quella delle donne, perché si tratta di categorie trasversali. Se è vero che a livello aggregato giovani e donne hanno difficoltà particolari ad inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro, è anche vero che c'è giovane e giovane, e donna e donna. Il figlio di Berlusconi è giovane, ma non è certo uno svantaggiato. La Marcegaglia è una donna, ma non è certo una sventurata. Quindi, per fare politiche sociali e di equità, occorre capire "a quali giovani" sono rivolte, "a quali donne" sono rivolte (di quale età, di quale area geografica di residenza, a quale classe di reddito appartengono le relative famiglie, in quale condizione educativa e lavorativa di partenza, ecc.), e se tali categorie micro (non più quindi tutti i giovani e le donne indistintamente) esauriscano da sole l'intero panorama del disagio sociale, o se invece ve ne siano altre. In altri termini, affidarsi a macro-categorie trasversali e definite in modo generico e vago (i giovani, le donne) anziché analizzare specificamente l'assetto di classe della società , o quantomeno, se proprio non si vuole adottare l'approccio marxista (che rimane però il migliore per analizzare l'esclusione sociale) analizzare le condizioni di accesso alle opportunità di ascesa sociale dei diversi strati socio-anagrafici, socio-etnici o socio-lavorativi, riviene a fare esattamente il contrario di ciò che occorrerebbe fare per implementare meccanismi di equità. Perché per introdurre meccanismi di equità all'interno di un corpo sociale occorre prima averlo analizzato, dissezionato.

Caro Monti, se lo lasci dire da uno che, per età, ma non certo per censo, avrebbe potuto essere un Suo allievo: dismetta i panni del professore, riponga i foglietti di carta con gli istogrammi sull'andamento dello spread. Abbia perlomeno l'onestà, di fronte a sè stesso, di dire quello che Lei è: non un professore, non un intellettuale, non un tecnico (in questi panni Lei sta dando veramente una prova pessima, a dire il vero), ma un esecutore delle volontà della borghesia finanziaria. Si sentirà sicuramente meglio anche con sè stesso, farà meno gaffe, si renderà meno ridicolo.

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